Jack Vettriano: l’outsider che ha conquistato il mondo

A Bologna, le stanze sontuose di Palazzo Pallavicini celebrano, per la prima volta in Italia, l’opera di Jack Vettriano, pittore scozzese di origini italiane tra i più noti e discussi del panorama artistico contemporaneo. La mostra, aperta fino al 20 luglio 2025, arriva a poche settimane dalla sua scomparsa, avvenuta il 1° marzo all’età di 76 anni, suggellando un’eredità fatta di successo popolare e disprezzo accademico. Organizzata da Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci di Pallavicini s.r.l., con la curatela di Francesca Bogliolo e la collaborazione dello stesso artista prima della morte, l’esposizione si presenta come un evento senza precedenti nel nostro Paese. Oltre settanta opere, tra oli originali, tirature limitate su carta museale e fotografie d’autore realizzate da Francesco Guidicini – ritrattista ufficiale del Sunday Times – offrono uno spaccato esaustivo del mondo visivo creato da Vettriano: un mondo dove il romanticismo e il desiderio si incontrano in ambientazioni da film noir, tra gesti sensuali e sguardi sfuggenti.

Un talento nato dal nulla

La biografia di Vettriano sembra uscita da un romanzo di formazione. Nato nel 1951 nella contea di Fife, in una famiglia operaia di origini ciociare (la madre era di Cassino), crebbe tra le difficoltà economiche della Scozia industriale. A soli undici anni iniziò a lavorare, contribuendo alle finanze domestiche, e fu solo a vent’anni che ricevette in regalo una scatola di colori: un dono che segnò l’inizio, da autodidatta, di una vocazione tardiva ma travolgente.

Con una tenacia fuori dal comune, riuscì a esporre per la prima volta nel 1988 alla Royal Scottish Academy: fu un trionfo. I due quadri presentati vennero venduti nel giorno stesso dell’apertura e da quel momento, il suo nome cominciò a circolare con sempre maggiore insistenza nel mercato dell’arte internazionale. Mostre a Edimburgo, Londra, New York, Johannesburg e Hong Kong consolidarono il mito. La popolarità, tuttavia, portò anche a un prezzo personale: il successo contribuì alla fine del suo primo matrimonio e a un trasferimento a Edimburgo, dove adottò il cognome “Vettriano” in omaggio alla madre.

Il gusto del pubblico, il disprezzo della critica

Vettriano è stato il classico caso di artista amatissimo dal pubblico e osteggiato dalla critica. Il New York Times lo definì con sarcasmo: «Nessuno lo ama, tranne il pubblico». I suoi detrattori gli rimproveravano tutto: la mancanza di formazione accademica, il suo stile figurativo ritenuto eccessivamente narrativo e illustrativo, le atmosfere rétro giudicate kitsch, e infine la “colpa” più grave – per alcuni – di piacere troppo. Le scene raffigurate nei suoi dipinti, spesso evocative di una sensualità nostalgica e teatrale, richiamano il cinema anni ’40: uomini in completo che fumano sigarette, donne in reggicalze, spiagge deserte, alberghi di passaggio e relazioni taciute.

La sua opera più famosa, The Singing Butler, in cui una coppia danza sulla spiaggia sotto la pioggia, protetta da due domestici con ombrelli, è diventata un’icona pop. E proprio questa immagine, che fu rifiutata dalla Royal Academy nel 1992, venne venduta all’asta anni dopo per 750.000 sterline, stabilendo un record. Ma non mancarono le polemiche: si scoprì che le figure erano ispirate a pose contenute in un manuale per illustratori, The Illustrator’s Figure Reference Manual. Vettriano non negò mai le sue fonti e anzi rivendicava la sua inclinazione a copiare i grandi: «Degas, Caravaggio, Monet – mettili in un calderone e otterrai la mia pittura», disse una volta.

Il mercato non mente

Snobbato dalle gallerie più ortodosse ma adorato dal collezionismo privato, Vettriano ha avuto un successo commerciale impressionante. Le sue opere, spesso riprodotte su larga scala, hanno invaso negozi e pareti domestiche: dai poster alle tazze, dalle stampe ai tappetini per mouse. Secondo il Guardian, nel periodo di massima fama arrivava a guadagnare circa 500.000 sterline l’anno solo in royalties da riproduzione.

Personaggi del calibro di Jack Nicholson e Tim Rice hanno acquistato sue opere. La Regina Elisabetta lo insignì dell’OBE nel 2004 per i suoi servizi alle arti visive. Un riconoscimento istituzionale che, sebbene accolto con freddezza dalla critica, suggellava la sua importanza nel panorama culturale britannico.

Una poetica alternativa

Vettriano non volle mai essere un artista “impegnato”. Non si interessò di degrado urbano, diseguaglianze o cronache storiche, temi cari a tanti suoi contemporanei. Preferì concentrarsi su passioni universali, emozioni forti e scenari eleganti, costruiti con una consapevolezza scenografica che molti giudicarono superficiale, ma che conquistava lo sguardo. «Sono entrato nell’arte dalla porta di servizio», affermò una volta, «e per questo non sono riusciti a plasmarmi».

Alla domanda implicita su cosa debba essere oggi l’arte – provocazione, denuncia o piacere estetico – Vettriano rispose con la coerenza della sua pittura. Non cercava lo scandalo, ma lo sguardo di chi osserva, il riconoscimento in un gesto, la bellezza della ripetizione. Anche quando, col tempo, fu accusato di reiterare gli stessi soggetti, non cambiò rotta. D’altronde, disse, «io ho quello che voglio».

Eredità di un artista popolare

Oggi, alla luce della sua morte e del tributo che Bologna gli rende, il giudizio su Vettriano si arricchisce di nuove sfumature. Non è più tempo di opporre alto e basso, arte e consumo, ma di comprendere il perché del suo impatto globale. In un’epoca in cui l’arte è sempre più immersa nel mercato e nei linguaggi digitali, Vettriano ha saputo essere, nel bene e nel male, un precursore. La sua pittura, criticata per essere troppo accessibile, è oggi una testimonianza di quanto il gusto popolare possa essere, a suo modo, rivoluzionario.

La mostra di Palazzo Pallavicini non è soltanto un omaggio a un artista controverso, ma un’occasione per riflettere sul ruolo dell’estetica nell’immaginario collettivo. Vettriano non ha mai chiesto di essere capito: gli bastava essere guardato. E forse è proprio in questo sguardo – diffuso, riconoscente, innamorato – che la sua opera ha trovato la sua ragione d’essere.


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