Donne e mostri: un nuovo sguardo femminista sulla mitologia classica

Tratto da Smithsonian Magazine

Nel cuore della mitologia greco-romana si nasconde una verità inquietante quanto illuminante: perché così tante figure mostruose dell’antichità sono femminili? Una nuova raccolta di saggi indaga la questione e rivela quanto questi archetipi antichi continuino a modellare la cultura contemporanea, soprattutto nelle sue dinamiche di genere.

Nel vasto repertorio di miti che la cultura occidentale ha ereditato dal mondo greco-romano, i mostri non sono semplici creature fantastiche: sono specchi culturali. Figure deformi, alate, zannute, inumane, spesso evocano paure profonde e limiti invisibili, agendo come strumenti narrativi per definire ciò che è umano e ciò che, al contrario, rappresenta la minaccia dell’alterità. Ma tra le molte inquietanti creature che popolano questi racconti millenari, una caratteristica ricorre con insistenza: la mostruosità ha spesso volto di donna.

A evidenziarlo con forza è Jess Zimmerman in Women and Other Monsters: Building a New Mythology, pubblicato da Beacon Press. In questo saggio composito e appassionato, l’autrice ripercorre la genealogia delle creature femminili della mitologia classica per decostruire, attraverso una prospettiva femminista, i codici culturali che le hanno generate e tramandate. Il risultato è un’indagine che intreccia analisi letteraria e memoria personale, capace di aprire interrogativi attuali sul ruolo che il mito gioca ancora oggi nella costruzione delle aspettative legate alla femminilità.

Secondo Zimmerman, la tradizione occidentale ha trasformato alcune qualità temute o incomprese nelle donne – forza, desiderio, conoscenza, ambizione – in elementi di mostruosità. Medusa, ad esempio, incarna in modo esemplare questa ambivalenza: dotata di una bellezza pericolosa e di un potere mortifero, è temuta e demonizzata perché racchiude in sé la forza e la minaccia dell’indipendenza. Allo stesso modo, Cariddi rappresenta un abisso divoratore, mentre Scilla si manifesta come una molteplice trappola, un pericolo ineludibile e “al femminile”. Entrambe appaiono nell’Odissea, ma non come semplici ostacoli: sono personificazioni di angosce ancestrali legate al corpo e al controllo.

Queste figure, evidenzia la curatrice Madeleine Glennon in un contributo per il Metropolitan Museum of Art, non erano solo narrazioni simboliche: per gli antichi, erano parte integrante di una realtà mitologica che si credeva quasi storica. I mostri, e in particolare quelli femminili, rivelavano i confini della società, rafforzando norme e ruoli, soprattutto quelli imposti alle donne.

Jess Zimmerman, che ha scoperto la mitologia da bambina leggendo il Libro dei miti greci dei D’Aulaire, parte da questo immaginario per smontarlo dall’interno. Affianca le proprie riflessioni a quelle di studiosi come Jeffrey Jerome Cohen, autore di riferimento nella cosiddetta “teoria dei mostri”, e Debbie Felton, che ha analizzato il ruolo della mostruosità nel mondo antico come proiezione delle paure maschili. Zimmerman recupera anche l’analisi iconografica di Kiki Karoglou su Medusa, la sintesi di Robert E. Bell sulle figure femminili mitologiche, e gli studi di Marianne Hopman su Scilla.

Il percorso che Women and Other Monsters propone è insieme intimo e culturale. Ogni saggio è dedicato a una figura mitologica – dalla Sfinge alla Chimera, da Lamia a Circe – e si trasforma in una riflessione su come la società moderna continui, spesso inconsapevolmente, a raccontarsi e a regolare la femminilità attraverso l’eco dei mostri antichi. Non a caso, Zimmerman colloca il suo lavoro nel solco di una tradizione contemporanea di riscrittura mitologica che include autrici come Muriel Rukeyser, Margaret Atwood e Madeline Miller, tutte impegnate a dare voce e complessità alle figure femminili relegate a margini o a simboli.

La scelta di concentrarsi sulla mitologia greco-romana non è casuale. Zimmerman osserva che il pensiero classico ha plasmato per secoli l’idea stessa di “qualità” letteraria in Occidente, contribuendo a definire canoni estetici e morali da una prospettiva dominata da uomini bianchi, cisgender, europei. Recuperare e reinterpretare quei miti attraverso nuove lenti significa mettere in discussione non solo i racconti in sé, ma anche le strutture culturali che li hanno mantenuti vivi.

Alla base di questa rilettura, spiega Zimmerman, vi è una domanda semplice ma dirompente: e se ciò che l’antichità ci ha insegnato a temere fosse, in realtà, ciò che oggi potremmo imparare ad ammirare? Le qualità che rendevano mostruose queste figure – la loro autonomia, la loro fame, la loro intelligenza – sono le stesse che, nelle mani di un eroe maschile, sarebbero celebrate come virtù.

Il saggio di Zimmerman non è soltanto una rilettura del passato. È una proposta per il futuro: un invito a interrogare i testi antichi non come reliquie, ma come strumenti culturali vivi, capaci di aiutarci a comprendere le dinamiche del presente. In fondo, come afferma l’autrice stessa, i mostri non sono che “le favole della buonanotte che il patriarcato si racconta”. Riconoscerli, nominarli e riscriverli è forse il primo passo per svegliarsi.


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