

Uno degli enigmi più affascinanti della storia delle religioni, quello dei Rotoli del Mar Morto, sta conoscendo una nuova stagione di scoperte grazie a un’inedita alleanza tra scienza e tecnologia. Secondo un recente studio internazionale, pubblicato sulla rivista Plos One, molti dei celebri manoscritti rinvenuti a metà del Novecento nelle grotte di Qumran, in Cisgiordania, sarebbero più antichi di quanto finora ipotizzato. Per la prima volta, alcuni frammenti biblici sono stati datati con una precisione tale da poter essere collocati nell’epoca stessa in cui si ritiene siano vissuti gli autori dei testi sacri.
Il progetto, finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca e condotto dall’Università di Groningen nei Paesi Bassi in collaborazione con gli atenei di Pisa e Southern Denmark, ha sfruttato un nuovo modello predittivo chiamato Enoch – dal nome del patriarca biblico – che unisce intelligenza artificiale, paleografia e datazione al radiocarbonio. L’obiettivo: superare i limiti finora invalicabili nella datazione dei singoli manoscritti antichi, aggirati grazie a una sinergia fra discipline tradizionalmente distanti.
I Rotoli del Mar Morto, rinvenuti tra il 1947 e il 1956 in undici grotte nei pressi di Khirbet Qumran, rappresentano una delle più significative scoperte archeologiche del XX secolo. Si tratta di circa 900 documenti, tra testi religiosi e commentari biblici, redatti in ebraico, aramaico e greco, che hanno rivoluzionato la conoscenza del giudaismo del Secondo Tempio e gettato nuova luce sulle origini del cristianesimo. La loro datazione, però, è sempre stata incerta, oscillando genericamente tra il III secolo a.C. e il II secolo d.C., con margini d’errore che ne compromettevano il pieno valore storico.
Il nuovo studio ha rivoluzionato questo scenario. Grazie a Enoch, basato su una rete neurale profonda denominata BiNet, è stato possibile analizzare in modo automatizzato le microscopiche tracce di inchiostro e la morfologia dei caratteri nei manoscritti digitalizzati. I dati paleografici così ottenuti sono stati integrati con i risultati della datazione radiometrica, creando un modello predittivo capace di stimare l’età dei manoscritti con un’incertezza di appena 30-50 anni. Una precisione senza precedenti, che ha permesso di colmare un vuoto cronologico di riferimento fra il IV secolo a.C. e il II secolo d.C.
Dei quasi mille rotoli scoperti, ne sono stati analizzati 135: il modello ha fornito stime giudicate realistiche nel 79% dei casi dagli esperti paleografi coinvolti. Il risultato più clamoroso riguarda due frammenti di testi biblici, il Libro di Daniele (4QDanielc) e il Qohelet o Ecclesiaste (4QQoheleta), datati rispettivamente al II e al III secolo a.C., ovvero alla stessa epoca in cui si ritiene siano stati scritti i testi originali. È la prima volta che manoscritti biblici possono essere associati con tanta affidabilità al periodo di vita dei loro presunti autori, fornendo una base concreta agli studi sulla trasmissione delle Scritture.
Un altro elemento di grande rilievo riguarda l’evoluzione degli stili grafici. Le scritture definite “asmonee”, finora attribuite al periodo tra il 150 e il 50 a.C., risulterebbero in realtà anteriori di decenni, collocabili già tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. Lo stesso vale per lo stile “erodiano”, che secondo le nuove analisi avrebbe cominciato a circolare già nella seconda metà del II secolo a.C., molto prima di quanto ipotizzato.
Fondamentale è stato anche il contributo degli studiosi dell’Università di Pisa, che hanno messo a punto un protocollo chimico innovativo per la pulizia dei frammenti da contaminanti residui, in particolare da vecchi restauri. Come spiega la professoressa Ilaria Degano, del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, «il nostro compito è stato assicurare che i materiali inviati per la datazione fossero il più possibile puliti e privi di residui che potessero alterare i risultati». Un lavoro di estrema delicatezza, reso necessario dalla fragilità dei reperti, e destinato a diventare uno standard per le analisi future su materiali antichi.
Il progetto “Le mani che scrissero la Bibbia”, come è stato battezzato dal Consiglio Europeo della Ricerca, ha dunque aperto una nuova frontiera nella ricerca biblica e filologica. La possibilità di associare uno stile grafico a una precisa finestra temporale consente non solo di datare con maggiore precisione i testi, ma anche di avanzare ipotesi sulle scuole scribali e sui contesti di produzione, in un periodo storico cruciale per la formazione delle tradizioni ebraiche.
Se la Bibbia, come ogni testo sacro, è da sempre oggetto di interpretazioni teologiche e dispute filologiche, questa ricerca introduce un elemento di oggettività in un terreno spesso dominato da ipotesi: per la prima volta, le “mani” che hanno scritto la Bibbia si lasciano intravedere con una nitidezza sorprendente. E in controluce, emerge un ritratto più preciso del mondo che le ha generate. Un passo decisivo per ricostruire, con rigore scientifico, il lungo cammino della parola scritta nella storia dell’umanità.
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