Daniel Buren a Pistoia: l’arte come processo in continuo divenire

A Pistoia, una mostra che sfida ogni convenzione museale offre al pubblico l’occasione di confrontarsi con sessant’anni di ricerca artistica attraverso lo sguardo radicale e mobile di Daniel Buren. Intitolata Fare, Disfare, Rifare. Lavori in situ e situati 1968–2025, l’esposizione promossa da Fondazione Pistoia Musei si presenta come molto più di una retrospettiva: è un’indagine dinamica sull’opera di uno degli artisti più influenti del secondo Novecento, in cui il tempo si intreccia al luogo, e il passato si reinventa nel presente.

Il progetto espositivo parte da due sale iniziali, dedicate alle ricerche pittoriche dei primi anni Sessanta, per poi dispiegarsi in una narrazione che prende l’Italia come nodo centrale di una lunga e profonda relazione. Dal 1968, infatti, il nostro Paese è stato per Buren teatro di esperimenti, confronti, azioni urbane e site-specific: un laboratorio aperto che oggi diventa anche una mappa per orientarsi nella sua opera.

Il titolo scelto per la mostra – Fare, Disfare, Rifare – non è soltanto un richiamo a un approccio artistico, ma una dichiarazione poetica ed esistenziale. Per Buren, l’arte non è mai oggetto statico o definitivo, bensì processo vivo, destinato a mutare nel tempo e a riflettersi nello spazio che lo accoglie. Il paradosso di “esporre” un artista che ha sempre rifiutato la permanenza e la trasportabilità dell’opera viene superato con un gesto radicale: non raccogliendo lavori preesistenti, ma ripensandoli, rigenerandoli, talvolta smontandoli per ricomporli altrove. Rifare, dunque, equivale anche a disfare.

Molti degli interventi in mostra sono rielaborazioni di lavori precedenti, adattati o riconfigurati per il contesto pistoiese. La nozione di opera in situ – ovvero creata per un luogo specifico e in stretta relazione con esso – è centrale nella pratica di Buren. Molte di queste installazioni non possono essere trasferite, altre ancora vengono reinterpretate in nuovi ambienti, trasformandosi di volta in volta. Non si tratta di repliche, ma di variazioni: la loro identità si definisce nel momento dell’installazione, nel rapporto dialogico con l’architettura, la luce, la storia del luogo.

Un esempio emblematico è Découpé / Étiré, installato nella corte interna di Palazzo Buontalenti. L’opera, che nasce da un lavoro realizzato nel 1985 per la galleria torinese di Antonio Tucci Russo, si presenta come una successione di portici incastrabili, che dal più grande al più piccolo si aprono e si espandono in una sorta di piano prospettico. Nella sua nuova versione, la struttura originaria viene ripensata: cambiano i colori, si trasforma l’interazione con lo spazio, il contesto ridefinisce l’opera stessa. Non un semplice remake, dunque, ma una riscrittura visiva e concettuale.

La mostra non si esaurisce all’interno delle sedi museali, ma si irradia in vari luoghi pubblici della città, aprendo una riflessione sulla relazione tra arte e spazio urbano. In piazza del Duomo, ad esempio, i tessuti a bande bianche e nere di Facciata ai venti – sospesi al loggiato dell’Antico Palazzo dei Vescovi e mossi da ventilatori – instaurano un gioco di corrispondenze e contrasti con la monumentalità marmorea della Cattedrale e del Battistero. L’opera introduce un elemento cinetico che rompe l’equilibrio della pietra e invita a una lettura inedita del paesaggio storico.

Più discreto ma altrettanto efficace è Dalla terrazza alla strada: livello, visibile tra Palazzo de’ Rossi e lo Sdrucciolo del Castellare: una banda di carta a righe bianche e nere che si adatta alla superficie muraria, rievocando le azioni urbane degli Affichages sauvages che Buren realizzava alla fine degli anni Sessanta. Anche qui, l’intervento effimero dialoga con il tessuto urbano, innestando nel quotidiano un gesto artistico che lo disturba e lo valorizza.

A rendere ancora più ampio il respiro dell’iniziativa, c’è l’estensione del percorso oltre i confini cittadini. La mostra coinvolge luoghi sparsi nella campagna e nei centri storici della Toscana, da Quarrata alla Fattoria di Celle a Santomato, fino a Colle di Val d’Elsa e al Castello di Ama. In questi siti si trovano numerose opere in situ permanenti di Buren, ognuna pensata in relazione a un preciso contesto architettonico o paesaggistico. Si tratta di installazioni che non possono esistere altrove, perché nate da un’intima corrispondenza con il luogo che le accoglie.

In questo modo, la mostra si trasforma in un itinerario diffuso, un invito al viaggio attraverso un territorio che diventa esso stesso spazio espositivo. Non solo un omaggio all’artista francese, ma un’occasione per riflettere sul rapporto tra arte, tempo e spazio, e su come il contesto possa trasformare radicalmente il significato dell’opera. Ogni tappa offre una prospettiva diversa, una variazione sul tema dell’identità e della metamorfosi artistica.

Il catalogo pubblicato a corredo dell’esposizione si propone come uno strumento fondamentale per approfondire la presenza e l’evoluzione del lavoro di Buren in Italia, configurandosi come un punto di riferimento per gli studi futuri.

In definitiva, Daniel Buren. Fare, Disfare, Rifare è molto più che una mostra: è un’esperienza estetica e concettuale che invita a ripensare le categorie stesse di esposizione, permanenza e creazione artistica. Un’occasione per interrogarsi sul ruolo del luogo nell’arte contemporanea e, al tempo stesso, un tributo alla capacità dell’artista di reinventarsi e di reinventare lo spazio che lo circonda.


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