Quando anche bere diventa un’esperienza sensoriale

Fino a pochi anni fa, parlare di “acqua di lusso” poteva sembrare una provocazione. O una boutade da pubblicitari in cerca di originalità. Eppure oggi, in un panorama dominato dal culto della qualità e dell’origine, l’acqua sta assumendo un ruolo sempre più simile a quello del vino, del caffè o della birra artigianale: non solo una bevanda, ma un’esperienza. Con le sue fonti incontaminate, i suoi residui minerali, le sue sfumature di gusto. Una rivoluzione liquida che coinvolge sommelier, degustazioni, cantinette dedicate e persino influencer da milioni di follower.

A confermarlo sono le immagini che arrivano da eventi come il “Fine Waters Taste and Design Awards” di Atlanta, dove oltre cento varietà di acqua vengono degustate alla cieca da una giuria specializzata. I bicchieri sono gli stessi usati per il vino, i gesti pure: si osserva il colore, si ruota il liquido, si annusa, si degusta con lentezza. Ogni campione riceve un punteggio secondo criteri analoghi a quelli usati per i grandi rossi di Borgogna. Siamo nell’ambito raffinato della cultura del gusto.

Acqua fine: un concetto nuovo per un gesto antico

A guidare questo movimento è Michael Mascha, fondatore di Fine Waters e tra i principali promotori del concetto di “acqua fine”. Un’espressione che distingue l’acqua naturale non trattata, legata a un territorio e a una storia geologica precisa, dalle acque purificate o commerciali. Come accade per il vino, il terroir è tutto: la composizione del suolo, il tipo di roccia attraversato, la profondità della falda. L’acqua, insomma, racconta un luogo. E i consumatori – sempre più esigenti, consapevoli e attenti al benessere – sembrano pronti ad ascoltare.

Non è un caso se, negli Stati Uniti, il mercato dell’acqua premium rappresenta già il 15% dei 47,4 miliardi di dollari complessivi del comparto. Le bottiglie variano da pochi dollari a diverse centinaia, come nel caso della giapponese Fillico, prelevata sotto il Monte Rokko, venduta in flaconi decorati con cristalli Swarovski e pensata per collezionisti del lusso estremo.

Dal cibo all’acqua: nasce una nuova arte del pairing

Parallelamente al successo commerciale, sta emergendo una vera e propria arte della degustazione dell’acqua. Proprio come accade per il vino, anche per le acque minerali esiste una precisa metodologia di assaggio: si parte dalla temperatura – 11-13°C per le lisce, 8-10°C per le frizzanti – fino alla scelta dei bicchieri in cristallo, studiati per non alterare il flusso del liquido sulla lingua. La procedura è dettagliata: primo sorso per la freschezza, valutazione visiva della limpidezza e del perlage, test olfattivo per eventuali odori anomali, degustazione completa con attenzione al retrogusto e alla persistenza.

Le caratteristiche sensoriali dell’acqua – livello di residuo fisso, tipo e quantità di minerali, acidità, effervescenza – diventano criteri fondamentali per l’abbinamento con i cibi. Acque frizzanti e ricche di minerali si prestano a piatti grassi e saporiti, mentre acque piatte o poco mineralizzate si sposano meglio con pietanze delicate, come il pesce al vapore o un’insalata leggera. Il pairing (abbinamento) acqua-cibo, fino a poco tempo fa trascurato anche nei ristoranti più attenti, sta conquistando spazi sempre maggiori.

Una nuova cultura dell’acqua: tra benessere, territorio e sostenibilità

Questa rinascita dell’acqua come oggetto di culto non riguarda soltanto il gusto. Ad alimentarla è anche una crescente attenzione alla salute e all’origine del prodotto. In molti casi, l’acqua fine rappresenta una risposta all’omologazione dell’acqua purificata, ottenuta da rubinetto e trattata chimicamente. Negli Stati Uniti, marchi come Crazy Water (arricchita naturalmente di litio) o Tahoe Artesian Water (acqua artesiana raccolta ai piedi della Sierra Nevada) stanno conquistando quote di mercato grazie al legame con un territorio specifico e alla totale assenza di interventi industriali.

Anche in Europa il fenomeno si allarga. In Inghilterra, il “Sommelier dell’Acqua Barbuta”, Doran Binder, ha scoperto una sorgente naturale all’interno di un parco nazionale e ne ha fatto una piccola impresa che coniuga attenzione ambientale e comunicazione social. In Portogallo, l’acqua Pedras, effervescente e filtrata naturalmente dal granito, è ormai considerata parte del patrimonio gastronomico nazionale, capace di accompagnare con eleganza i piatti più corposi della cucina lusitana.

Il design come linguaggio e status symbol

Oltre al contenuto, conta la forma. Le bottiglie delle acque di lusso sono oggetti di design, con etichette curate, vetro soffiato, linee minimaliste o barocche, a seconda dei marchi. Alcune cantine domestiche si stanno trasformando in veri e propri “water cellar”, armadi refrigerati per conservare le bottiglie a temperatura ideale. Nei ristoranti più raffinati compaiono le water list accanto alle wine list. E nei grandi alberghi, tornano i sommelier dell’acqua: esperti in grado di consigliare la bottiglia giusta in base al pasto, ma anche all’umore del cliente.

Tutto ciò non è esente da critiche. La questione ambientale resta centrale: l’imbottigliamento massiccio, il trasporto su lunghe distanze, l’uso della plastica sono aspetti controversi. Inoltre, la commercializzazione dell’acqua naturale da parte di grandi aziende solleva interrogativi etici, soprattutto in comunità locali che vedono depauperate le proprie riserve idriche. In questo contesto, la difesa delle piccole sorgenti indipendenti, spesso a gestione familiare, diventa un tema non solo culturale ma politico.

Dall’idoneità all’identità: l’acqua entra nella nostra narrazione quotidiana

Bere acqua non è più solo un gesto necessario. È un atto identitario. Così come la cucina è diventata un campo di espressione individuale, anche l’acqua che scegliamo parla di noi: del nostro rapporto con il territorio, con la salute, con il gusto. Come dice Simona Celante, fondatrice di Tahoe Artesian Water e veterana dell’industria delle bevande, “parliamo sempre della provenienza del vino, del burro, delle verdure. Ma mai del percorso dell’acqua. È tempo di farlo”.

La terza ondata dell’acqua – dopo le cure termali dell’Ottocento e il boom Perrier negli anni Settanta – è quindi una riscoperta. Una nuova attenzione all’essenziale, ma con una consapevolezza inedita: l’acqua non è tutta uguale. E assaggiarla con cura, imparare a distinguerla, raccontarla, può essere una forma di cultura, di rispetto, persino di piacere. Come per il vino, il caffè o il pane buono.

In fondo, anche in un mondo saturo di stimoli, a volte bastano due dita d’acqua, limpida e fresca, per sentire che il mondo – e la nostra attenzione – può ancora riflettere qualcosa di raro.


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