
Dimenticate l’idea del mercato rionale come luogo periferico, riservato a chi cerca solo il risparmio. Oggi, tra le bancarelle di abiti e oggetti usati, si aggirano influencer con lo smartphone puntato sui capi da mostrare, giovani in cerca del pezzo vintage perfetto e turisti attratti da tour guidati nei mercati più iconici d’Italia. Il mercato dell’usato non è mai stato così al centro della scena. A muovere questa rinascita è un intreccio di fattori economici, culturali e ambientali che rispecchiano la trasformazione dei consumi contemporanei.
Il fascino della seconda mano: da necessità a tendenza culturale
Quello che un tempo era considerato un ripiego, oggi è diventato un gesto carico di significato. L’acquisto di seconda mano si è liberato dallo stigma sociale e si è caricato di un nuovo valore simbolico: è un atto di consapevolezza ecologica, una dichiarazione di stile personale, ma anche una forma di resistenza al consumo massificato. Lo conferma la diffusione del termine inglese “thrifting”, sempre più popolare anche in Italia, che racchiude l’arte di scovare occasioni uniche, ridando vita a ciò che è già stato usato.
La moda vintage, la ricerca dell’affare e una nuova sensibilità ambientale si intrecciano così in un fenomeno sociale trasversale. I mercatini dell’usato accolgono oggi tutte le fasce sociali e si presentano con un’offerta merceologica ampia e diversificata: dai mobili agli abiti, dai dischi alle curiosità da collezione. Alcuni si sono specializzati in settori precisi, come il modernariato, l’infanzia o i libri, mentre altri continuano a proporre una varietà di oggetti che sembrano usciti da una soffitta del Novecento.
Un nuovo pubblico: giovani, social e cultura urbana
Una delle novità più rilevanti è l’abbassamento dell’età media dei frequentatori dei mercati. Ragazzi e ragazze li visitano non solo per acquistare, ma anche per vendere, creando intorno alla seconda mano una vera e propria estetica condivisa sui social. Video e post mostrano gli “haul” – le raccolte di capi trovati al mercato – con tanto di prezzi, consigli e abbinamenti. Alcuni creator si sono specializzati nella caccia al pezzo raro, magari firmato, trasformando le bancarelle in veri e propri luoghi di ricerca e selezione sartoriale.
L’interesse è tale che sono nate anche visite guidate ai mercatini. Non si tratta di esperienze turistiche tradizionali, ma di occasioni per imparare a distinguere un capo di qualità dal fast fashion, a trattare i tessuti in modo corretto, a riconoscere l’autenticità di un oggetto. Una forma di didattica urbana, spesso guidata da influencer o esperti di moda sostenibile, che mira a condividere competenze e coltivare un senso di comunità.
Dietro le quinte: il lavoro del mercatino
Il mondo dell’usato non è però solo una passerella per gli appassionati di moda retrò. Dietro le quinte, i mercatini rappresentano una filiera articolata che richiede competenze specifiche. Chi lavora nel settore deve avere una solida conoscenza della storia della moda, saper riconoscere i materiali, fare ricerche approfondite, valutare il valore commerciale degli oggetti. Il margine economico non si genera soltanto con la rivendita, ma attraverso un’attività complessa di selezione, restauro, presentazione.
I modelli organizzativi sono vari: ci sono mercatini basati sul conto vendita, altri che recuperano oggetti da attività di sgombero, e altri ancora che funzionano come veri e propri negozi sociali, gestiti da cooperative o associazioni. In questi casi, il ricavato finanzia progetti di inclusione lavorativa o attività di volontariato. Il valore dell’oggetto, dunque, non è solo commerciale, ma anche sociale.
Una coscienza ecologica in crescita
Un’altra componente chiave è quella ambientale. Acquistare o vendere usato significa ridurre la produzione di rifiuti e contenere il consumo di energia. Gli oggetti già prodotti incorporano quella che gli esperti chiamano energia grigia: acqua, petrolio e materie prime impiegate nella loro realizzazione. Dare nuova vita a un vestito o a un mobile significa evitare che quell’energia vada sprecata. È una logica circolare che risponde a una crescente sensibilità verso il cambiamento climatico e il consumo sostenibile.
Questa coscienza ha radici anche all’estero, dove il fenomeno dei mercatini dell’usato è più strutturato. Negli Stati Uniti i thrift shop sono una realtà consolidata, e il thrifting è entrato nel linguaggio quotidiano. In Australia si chiamano op shop, nel Regno Unito charity shop, legati a enti come la Croce Rossa o Oxfam, che aprì il suo primo punto vendita a Oxford nel 1948. In tutti questi casi, il riuso è un atto che intreccia etica, economia e stile di vita.
Una tendenza ciclica
Secondo molti sociologi, l’interesse per i mercati rionali è una tendenza ricorrente nella storia. Riappare in momenti di trasformazione sociale e culturale, spesso come reazione a modelli di consumo dominanti. L’attuale rinascita dei mercatini si inserisce in una più ampia ridefinizione dei valori legati al possesso, all’identità, alla sostenibilità. È un ritorno all’essenziale, ma anche una ricerca di autenticità, di storie, di relazioni che si intrecciano attraverso gli oggetti.
Così, tra le file di giacche anni ’80 e vinili anni ’60, il mercato dell’usato si riscopre luogo di cultura urbana, spazio sociale e laboratorio di consumo consapevole. Un punto di incontro dove passato e futuro si scambiano di posto, e dove il vintage smette di essere una moda per diventare una forma di pensiero.
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