All’Institut du Monde Arabe una mostra per rileggere la regina d’Egitto

Parlare di Cleopatra significa evocare una delle figure più affascinanti e controverse della storia. L’ultima regina d’Egitto, sovrana della dinastia tolemaica e protagonista di una vicenda che intreccia politica, passione e tragedia, è da secoli al centro di una narrazione che mescola realtà e leggenda, archeologia e propaganda, arte e consumo. All’Institut du Monde Arabe di Parigi, la grande mostra Le Mystère Cléopâtre, in programma dall’11 giugno 2025 all’11 gennaio 2026, si propone di restituire complessità e profondità a un personaggio spesso ridotto a stereotipo. Un viaggio tra storia e immaginario, alla scoperta della sovrana e del mito che ha generato.

Cleopatra: una figura costruita nel tempo

L’esposizione, articolata e scenograficamente ricca, si confronta con un interrogativo cruciale: che cosa sappiamo davvero di Cleopatra? E, soprattutto, perché la sua immagine continua a esercitare un simile potere sull’immaginario collettivo?

Per molti, Cleopatra è prima di tutto un’icona pop: il volto di Elizabeth Taylor nel kolossal di Mankiewicz del 1963, la diva orientale dai lineamenti perfetti, la seduttrice tragica che muore per amore con un serpente al seno. Ma appena varcata la soglia della mostra parigina, diventa evidente come questa rappresentazione sia soltanto una delle tante stratificazioni simboliche che si sono accumulate nei secoli.

Attraverso oltre duecento opere provenienti da grandi istituzioni internazionali — dal Louvre alla Biblioteca Nazionale di Francia, dalla Reggia di Versailles a musei in Italia, Spagna, Stati Uniti e Svizzera — Il mistero di Cleopatra racconta come la figura della regina sia stata costruita, distorta, riscritta e infine trasformata in un mito globale.

Jean André Rixens (1846-1925),  La morte di Cleopatra, 1874. Olio su tela, 200×290 cm.
© Municipio di Tolosa, Museo degli Agostiniani. Foto Daniel Martin

Dalla storia alla leggenda

La prima sezione della mostra è dedicata alla documentazione storica e archeologica. Grazie a rari reperti originali — tra cui monete coniate sotto il suo regno e papiri con firme attribuite alla sovrana — è possibile risalire all’identità storica di Cleopatra VII Filopatore. Ultima esponente della dinastia macedone fondata da Tolomeo I, successore di Alessandro Magno, Cleopatra nacque nel 69 a.C. e governò l’Egitto per circa vent’anni, in un periodo segnato dalla progressiva ingerenza di Roma negli affari del Mediterraneo orientale.

La mostra ricostruisce con rigore il contesto politico, economico e religioso in cui visse. Alessandria, sua capitale, era all’epoca un fiorente crocevia di culture, sapere e commerci. A dispetto della sua immagine romanzata, Cleopatra fu una regnante di grande abilità: adottò riforme amministrative e monetarie, cercò di mantenere l’autonomia egiziana con una raffinata politica diplomatica e fu tra le pochissime sovrane della storia antica a esercitare un potere effettivo, non meramente simbolico.

La sua alleanza con Giulio Cesare prima e con Marco Antonio poi, culminata nella sconfitta navale di Azio (31 a.C.) e nel celebre suicidio, pose fine all’indipendenza dell’Egitto e segnò l’ascesa definitiva di Ottaviano, futuro Augusto, come unico padrone di Roma. Ma fu proprio da quel momento che cominciò a consolidarsi il mito.

Cleopatra, Alexandre Cabanel, 1887, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten Antwerpen

La costruzione di un’immagine

Nella propaganda augustea, Cleopatra venne descritta come una minaccia esotica e perversa, simbolo di decadenza e lussuria orientale. I testi latini dell’epoca — da Orazio a Plutarco, da Virgilio a Dion Cassio — contribuirono a costruire il ritratto di una “straniera” seduttrice, manipolatrice, potenzialmente sovversiva per l’ordine patriarcale e imperiale di Roma. Una narrazione misogina e riduttiva che avrebbe esercitato una lunga influenza sulla storiografia occidentale.

In contrasto, gli autori arabi medievali la considerarono una regina colta e illuminata, capace di coniugare autorità politica e saggezza intellettuale. Ma è soprattutto attraverso l’arte figurativa che il personaggio si è moltiplicato in innumerevoli versioni: miniature medievali, pittura rinascimentale, scultura barocca, letteratura teatrale e operistica, illustrazione ottocentesca.

Ogni epoca ha proiettato sulla sovrana le proprie ossessioni: Cleopatra è stata l’Eva tentatrice, la regina lasciva, l’eroina tragica, la femme fatale o la martire politica. Dalla penna di Shakespeare al pennello di Guido Reni, dalla scena del teatro di Victorien Sardou alla voce della Callas, l’“Egiziana” ha assunto le forme più diverse, ma sempre subordinate a un’idea di seduzione tanto potente quanto ambigua.

Nazanin Pouyandeh, La morte di Cleopatra, olio su tela, 2022.
Collezione privata. © Gregory Copitet

Il cinema e la massificazione del mito

Un punto di svolta nella rappresentazione di Cleopatra si verifica con l’avvento del cinema. A partire dagli anni Dieci del Novecento, il grande schermo la trasforma in un simbolo glamour: la Cleopatra interpretata da Theda Bara (1917), con il suo trucco marcato e le pose da vamp, inaugura una lunga serie di regine reinventate dalla cultura visiva.

Negli anni Sessanta, il colossal hollywoodiano con Elizabeth Taylor impone un’icona definitiva: abiti sontuosi, eyeliner grafici, scenografie opulente e un’aura da diva. Da quel momento, la regina d’Egitto entra a pieno titolo nella cultura popolare di massa, riprodotta all’infinito su oggetti di consumo, pubblicità, travestimenti di Carnevale, serie televisive e merchandising. La sua immagine diventa un marchio: Cleopatra come musa del glamour, testimonial involontaria dell’industria della bellezza, reginetta di moda.

In questa trasformazione, il mito ha finito per oscurare la figura storica, generando un’immensa confusione culturale. La sovrana reale, con il suo ruolo politico e la sua dimensione pubblica, scompare dietro l’ombra spettacolare dell’eroina tragica.

L’icona contemporanea: politica, identità e riscatto

Tuttavia, negli ultimi decenni, la figura di Cleopatra è stata oggetto di una profonda revisione. A partire dalla fine del XIX secolo, movimenti politici, nazionali e femministi hanno cominciato a riappropriarsi della sua immagine. In Egitto, è divenuta un simbolo di orgoglio e resistenza anticoloniale. Negli Stati Uniti, è stata rivendicata come figura di riferimento dalla comunità afroamericana, che sottolinea le sue origini africane e il suo ruolo di donna di potere in un mondo dominato da uomini.

Oggi, Cleopatra è anche un’icona femminista: una donna capace di imporsi in un contesto ostile, di parlare più lingue, di governare con determinazione, di scegliere la propria morte piuttosto che subire la sconfitta. Il mito, pur nella sua ambiguità, continua a offrire una chiave per ripensare il rapporto tra genere, potere e rappresentazione.

Un’esposizione per decostruire il mito

La mostra dell’Institut du Monde Arabe non si limita a presentare Cleopatra come figura storica o soggetto artistico, ma affronta con lucidità il modo in cui è stata narrata, manipolata e consumata. Lo fa intrecciando archeologia, storia dell’arte, studi culturali e pratiche espositive contemporanee, in un percorso che va dalla numismatica ai costumi cinematografici, dalle stampe del Rinascimento alle fotografie pubblicitarie.

Più che ricostruire un’immagine autentica — probabilmente impossibile — il percorso suggerisce una lettura critica del mito: Cleopatra come specchio mobile dei desideri, delle paure e delle fantasie di chi la guarda. Un simbolo in continua mutazione, in cui si riflettono le tensioni di ogni epoca.

In un momento storico in cui il dibattito sul passato si intreccia sempre più con le dinamiche del presente, questa mostra si impone come un invito a distinguere tra leggenda e verità, tra immagine e potere. Perché forse, il vero “mistero di Cleopatra”, non è tanto chi sia stata, quanto perché continuiamo ad averne bisogno.


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