I muckrakers alle origini del giornalismo d’inchiesta

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, un’ondata di scrittori, fotografi e giornalisti americani cominciò a rivolgere uno sguardo impietoso verso le contraddizioni del proprio tempo. Il loro obiettivo era chiaro: rivelare il volto nascosto del progresso, quello fatto di miseria urbana, corruzione politica, sfruttamento lavorativo e abusi istituzionali. Nasceva così il giornalismo d’inchiesta moderno, e con esso una nuova figura professionale e culturale: il muckraker.

Il termine, coniato in senso sprezzante da Theodore Roosevelt nel 1906, indicava “chi rastrella il fango”, evocando un passo del poema allegorico Il pellegrinaggio del cristiano di John Bunyan. Nella parabola, un uomo rifiuta la salvezza divina perché troppo impegnato a rivoltare il letame. Per Roosevelt, i muckrakers erano uomini capaci di scoperchiare le brutture del sistema, ma spesso ciechi di fronte a prospettive più alte. Eppure, proprio questi “rastrellatori di fango” diedero avvio a una delle stagioni più feconde del giornalismo americano, influenzando l’opinione pubblica, la politica e perfino l’assetto legislativo del Paese.

Una città sull’orlo dell’abisso

Il cuore di questo movimento fu New York, emblema della modernità industriale e delle sue contraddizioni. A cavallo tra i due secoli, la metropoli americana era teatro di un’espansione urbana tumultuosa e disordinata, dove convivevano la ricchezza dei grandi magnati e la miseria delle masse immigrate. Era un mondo diviso in due, come raccontava già nel 1890 How the Other Half Lives del fotografo danese Jacob Riis, una delle prime opere a documentare, con parole e immagini, le condizioni disumane nei tenements, gli alloggi sovraffollati del Lower East Side.

Riis, con la sua macchina fotografica e una penna indignata, accese i riflettori sulla “metà invisibile” della città: bambini affamati, famiglie stipate in stanze senza luce, operai distrutti dal lavoro. Il suo libro fu una denuncia senza sconti e segnò un punto di svolta: non si poteva più ignorare la miseria che viveva accanto all’opulenza.

McClure’s (copertina, gennaio 1901)
pubblicò molti dei primi articoli scandalistici.

L’era progressista e la nascita del giornalismo investigativo

Il contesto in cui i muckrakers si affermarono fu l’età progressista americana, un periodo compreso tra il 1890 e il 1920 segnato da profondi fermenti sociali e riformisti. Fu in quegli anni che prese forma una nuova concezione del giornalismo, fondata non più soltanto sulla cronaca o sul sensazionalismo, ma sull’indagine documentata dei fatti e sulla denuncia degli abusi.

Riviste come McClure’s Magazine, Collier’s Weekly, Everybody’s Magazine o American Magazine divennero laboratori di inchieste meticolose e approfondite. I loro redattori, come Samuel S. McClure, investirono risorse e tempo nella ricerca della verità, affidandosi a reporter brillanti e politicamente impegnati. Nel numero di gennaio 1903 di McClure’s, considerato da molti il manifesto inaugurale del muckraking, comparvero contemporaneamente tre firme destinate a diventare leggendarie: Ida M. Tarbell, Lincoln Steffens e Ray Stannard Baker.

Tarbell pubblicò la monumentale History of the Standard Oil Company, un’inchiesta in dieci puntate che smascherava le pratiche monopolistiche e predatorie dell’impero fondato da John D. Rockefeller. Steffens firmò The Shame of the Cities, un’indagine sulle collusioni tra politici e criminalità nelle amministrazioni urbane. Baker denunciò le discriminazioni razziali e le disuguaglianze nel diritto al lavoro.

Scrivere per cambiare la società

A differenza del giornalismo scandalistico dell’Ottocento, dominato da titoli sensazionali e cronaca nera al servizio della vendita di copie, il muckraking si presentava come un’azione consapevole di riforma. I muckrakers volevano informare, ma soprattutto provocare una reazione. Il loro fine non era l’audience, ma il cambiamento.

Tra le opere più influenti del periodo spicca The Jungle di Upton Sinclair (1906), romanzo-inchiesta che raccontava le condizioni brutali degli operai nei mattatoi di Chicago. L’impatto fu dirompente: più che la denuncia dello sfruttamento umano, colpì l’opinione pubblica l’immagine della carne contaminata servita sulle tavole americane. L’indignazione portò all’approvazione, nello stesso anno, del Pure Food and Drug Act e del Meat Inspection Act. Sinclair stesso commentò amaramente: «Miravo al cuore del pubblico e ho colpito lo stomaco».

Altri testi emblematici furono The Greatest Trust in the World e The Uprising of the Many di Charles Edward Russell, Treason of the Senate di David Graham Phillips e Tweed Days in St. Louis di Lincoln Steffens, il primo vero articolo “muckraker”, che nel 1902 smascherò il sistema di corruzione diffuso nella politica urbana americana.

Tecniche nuove, storie vere

Se il contenuto era rivoluzionario, lo erano anche i mezzi. L’uso della fotografia come prova, la struttura narrativa del reportage, la tecnica dell’inchiesta sotto copertura: tutto contribuiva a rafforzare l’impatto dei racconti. Pionieri come Julius Chambers si finsero pazienti per denunciare gli abusi nei manicomi (caso Bloomingdale Asylum, 1872), mentre Nellie Bly trascorse dieci giorni internata al Bellevue Mental Hospital per testimoniare le condizioni inumane dei ricoverati. I loro articoli portarono a riforme immediate, al rilascio di innocenti e a una maggiore regolamentazione delle strutture psichiatriche.

La diffusione di queste storie fu favorita da un mercato editoriale in rapida crescita. La classe media americana, sempre più alfabetizzata e sensibile ai temi sociali, era un pubblico ideale per questo nuovo giornalismo. Le tirature delle riviste aumentarono, gli editori investirono, gli autori divennero celebrità. Eppure, proprio in questo successo si celava anche un rischio: quello di scivolare nel moralismo o nel populismo.

Il contraccolpo e l’eredità

La reazione non si fece attendere. Roosevelt, pur riconoscendo il ruolo cruciale dei muckrakers, li accusò di eccedere nella denuncia e di ignorare i progressi della nazione. Il giornalismo divenne un campo di battaglia ideologico tra chi lo voleva militante e chi lo pretendeva oggettivo. Fu proprio in questo periodo che The New York Times, sotto la guida di Adolph Ochs, cominciò a promuovere uno stile sobrio, imparziale e “di riferimento”, prendendo le distanze dal giornalismo emozionale.

Ma la stagione dei muckrakers aveva lasciato un segno profondo. Aveva imposto nuovi standard professionali, introdotto il concetto di responsabilità sociale del giornalismo e dimostrato che la parola stampata poteva cambiare la realtà. Il giornalismo d’inchiesta, da allora, sarebbe rimasto una delle voci più autorevoli e temute della democrazia americana.

Dalla carta stampata al mondo contemporaneo

Oggi, il termine muckraker è usato più raramente, ma la sua eredità sopravvive nei grandi reportage, nei documentari d’inchiesta, nelle investigazioni giornalistiche che portano alla luce scandali ambientali, economici e politici. In un’epoca dominata dalle fake news e dalla frammentazione informativa, l’esempio di quei pionieri resta più attuale che mai.

Jacob Riis, Ida Tarbell, Lincoln Steffens, Nellie Bly e Upton Sinclair non solo raccontarono il loro tempo: lo trasformarono. Con coraggio, metodo e ostinazione, riscrissero la funzione del giornalismo moderno. Non furono solo osservatori, ma attori della storia. In un’epoca in cui la libertà di stampa continua a essere minacciata in molte parti del mondo, ricordare la loro lezione è più che un dovere: è una necessità.


A chiarimento delle problematiche relative al copyright delle immagini.
Le immagini eventualmente riprodotte in pagina sono coperte da copyright (diritto d’autore). Tali immagini non possono essere acquisite in alcun modo, come ad esempio download o screenshot. Qualunque indebito utilizzo è perseguibile ai sensi di Legge, per iniziativa di ogni avente diritto, e pertanto Experiences S.r.l. è sollevata da qualsiasi tipo di responsabilità.

About the author: Redazione di Entasis