Il maestro della materia, che ha trasformato il bronzo in pensiero e spazio interiore

Il 22 giugno 2025, alla vigilia del suo novantanovesimo compleanno, si è spento nella sua casa di Milano Arnaldo Pomodoro. Con lui se ne va uno dei massimi interpreti della scultura contemporanea italiana, capace di unire la forza del gesto artigianale alla visione cosmica della materia. Nato nel 1926 a Morciano di Romagna, Pomodoro ha attraversato quasi un secolo di storia, restando sempre fedele a una poetica che coniuga rigore geometrico, memoria archetipica e tensione monumentale.

L’origine di uno stile: tra geometria e rottura

La sua firma è nota in tutto il mondo: sfere levigate, scolpite nel bronzo, che si aprono, si lacerano, si fratturano come gusci di un mondo interiore. L’apparenza perfetta della superficie cela un’anima complessa, fatta di ingranaggi, cavità, sporgenze e incastri. È il contrasto tra l’esterno armonico e l’interno spezzato a definire l’essenza della sua opera. Ogni scultura diventa un congegno della visione, un dispositivo che invita lo spettatore a esplorare, decifrare, entrare.

Pomodoro si forma inizialmente come geometra, ma già nei primi anni Cinquanta abbandona l’ambito tecnico per seguire la vocazione artistica. I suoi primi lavori sono monili in oro e argento, per poi passare a materiali più ruvidi e resistenti: ferro, cemento, legno. Sarà però il bronzo il materiale della maturità, quello che gli permetterà di fondere insieme micro e macro, gesto e architettura, resistenza e cesura.

Opere e ritratto di Arnaldo Pomodoro al lavoro – Immagine di Paolo Monti – Servizio fotografico – BEIC 6365653. Servizio fotografico: Italia, 1975 / Paolo Monti. – Buste: 12, Fototipi: 13 : Negativo b/n, gelatina bromuro d’argento/ pellicola ; 10×12. – ((Serie costituita da 13 negativi identificativi con i nn.: 503, 505, 557-559, 576-578, 581-583 e una busta senza numerazione su cui è manoscritto: “Riproduzione del 151 – Pannello”. La suddetta serie è contenuta nella scatola identificata con la numerazione G1676/1737. Sul coperchio della scatola manoscritto: “Zodiaco 1/1-77”

Milano, continuità e sperimentazione

Dal 1954 Pomodoro vive e lavora a Milano, in una casa-studio lungo la Darsena, vicino a Porta Ticinese. Nella capitale lombarda della cultura e del design trova il terreno fertile per sviluppare un linguaggio personale, soprattutto grazie all’incontro con il gruppo “Continuità”, dove dialoga con artisti come Lucio Fontana. La scultura per Pomodoro è uno spazio da aprire, non da riempire. Più che rappresentare la realtà, egli ne disseziona le tensioni: la sua è una ricerca sulle forme primarie — sfera, cubo, cono, parallelepipedo — che si incrinano, esplodono, si rigenerano in un ciclo continuo.

Il suo “spirito geometrico” non è mai sterile. Le sue forme, pur rigorosamente euclidee, si animano attraverso tagli netti e fenditure che rivelano un mondo interno, quasi un organismo tecnologico o una partitura musicale. La materia parla come un alfabeto cuneiforme, evocando una sacralità arcaica e una contemporaneità visionaria. In questa dialettica tra superficie e profondità si condensa la sua idea di arte come spazio simbolico e vitale.

Opere nel mondo, monumenti del tempo

L’arte di Arnaldo Pomodoro è presente nei più importanti musei, università e spazi pubblici del mondo. Dalla Sfera con sfera nel Cortile della Pigna dei Musei Vaticani alla monumentale scultura davanti al Palazzo dell’ONU a New York, dalle piazze di Pesaro e Rimini fino al Trinity College di Dublino, al Mills College in California e alla basilica di San Pio a San Giovanni Rotondo. Sono segni disseminati nel paesaggio urbano e spirituale, interruzioni lucide e organiche nel fluire del tempo.

Tra le sue opere più significative spicca la Colonna del viaggiatore, realizzata nel 1962 per la celebre mostra Sculture in città curata da Giovanni Carandente a Spoleto. Fu la prima prova di grande scala, preludio a una produzione monumentale che non avrebbe più conosciuto sosta.

Negli anni Novanta, Pomodoro firma lavori carichi di significato storico e politico. Il Disco Solare (1991) viene donato all’Unione Sovietica in pieno clima di disgelo; l’anno dopo, Papyrus viene collocato a Darmstadt nei giardini delle poste tedesche. Nel 1993 realizza una fontana-scultura per il Centro Biotecnologie Avanzate di Genova, mentre nel 1995 dedica un’opera a Federico Fellini, su commissione del comune di Rimini. Sempre nello stesso anno dà vita alla Lancia di Luce, obelisco installato a Terni in omaggio alla storia industriale e siderurgica della città.

Tra memoria e formazione

Pomodoro non è stato solo artista, ma anche formatore e promotore culturale. Ha insegnato in università statunitensi come Stanford, Berkeley, la California University e il Mills College. Nel 1990 fonda il Centro TAM (Trattamento Artistico dei Metalli) a Pietrarubbia, piccolo borgo del Montefeltro dove aveva trascorso l’infanzia. Il centro, realizzato in collaborazione con il Comune, è un laboratorio di formazione per giovani artisti, e testimonia il suo impegno nel trasmettere l’arte come sapere tecnico e ricerca interiore.

Significativa è anche la donazione che tra il 1977 e il 1991 compie allo CSAC di Parma (Centro Studi e Archivio della Comunicazione), con 33 sculture, 47 opere su carta e 23 gioielli e medaglie, oggi consultabili e visibili negli spazi dell’Università.

L’artista come demiurgo

L’originalità di Pomodoro non risiede soltanto nella forma, ma nella sua concezione della scultura come linguaggio universale, capace di oltrepassare le apparenze e scavare nella realtà. Le sue superfici tagliate e ricucite parlano una lingua che richiama l’ingegno dei primi artigiani, il rigore dei matematici, l’intuizione dei poeti. In questo, la sua opera si fa anche gesto filosofico: come un demiurgo platonico, Pomodoro plasma un mondo non per copiarlo, ma per rigenerarlo.

Nei suoi lavori più maturi, l’equilibrio tra l’esterno lucente e l’interno nascosto diventa metafora del nostro tempo: dietro le superfici levigate del progresso si cela un’architettura fragile e intricata. In ogni sua scultura, la forma geometrica diventa guscio e scrigno, trappola e rifugio, macchina e reliquiario. È un viaggio nello spazio della forma, ma anche nella memoria collettiva, dove si stratificano civiltà, simboli, mitologie.

L’eredità di una visione

Con la scomparsa di Arnaldo Pomodoro si chiude un lungo capitolo dell’arte italiana del secondo Novecento. Ma il suo linguaggio resta vivo, scolpito non solo nei bronzi disseminati nel mondo, ma nel modo stesso in cui pensiamo la materia, lo spazio e la memoria. Le sue opere non si limitano a occupare un luogo: lo trasformano, lo interrogano, lo aprono a nuove possibilità percettive.

Arnaldo Pomodoro ha fatto della scultura un territorio mentale, un campo di tensioni che abbraccia la storia e l’ignoto. Nel solco delle sue geometrie spezzate, continua a vibrare il suono sommerso di una libertà creativa che non si è mai piegata all’inerzia dell’ovvio.


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