
Nel Settecento David Hume cambiò il destino della filosofia europea, separandola per sempre dalla letteratura. Con la sua ricerca di un linguaggio chiaro e “scientifico”, trasformò il modo di pensare e di scrivere, fondando l’idea moderna del filosofo come studioso — ma perdendo, forse, la grazia del narratore.
Nel XVIII secolo, mentre l’Europa si preparava alla modernità, un filosofo scozzese cambiò per sempre il modo in cui pensiamo e scriviamo di idee. David Hume non fu solo il teorico dell’empirismo e dello scetticismo, ma anche il protagonista di una frattura culturale: quella tra filosofia e letteratura. Da allora, il pensiero e la prosa imboccarono strade diverse – una verso la scienza del conoscere, l’altra verso l’arte del raccontare.
Il “gentiluomo filosofo” e l’ambizione di un nuovo linguaggio
Nato a Edimburgo nel 1711, Hume appartiene a una generazione che credeva ancora possibile essere, insieme, scrittore e pensatore. La filosofia, fino a quel momento, si esprimeva in forma letteraria: Montaigne, Pascal, Addison o Shaftesbury alternavano riflessione e racconto, aforisma e aneddoto. I saggi erano opere da leggere tanto per il piacere dello stile quanto per la profondità delle idee.
Hume voleva essere riconosciuto come erede di questa tradizione – un man of letters, un uomo di lettere capace di parlare a un pubblico vasto, educato ma non accademico. Tuttavia, il suo progetto di rinnovamento lo condusse in una direzione imprevista. Cercando una prosa limpida e razionale, costruì un linguaggio che si voleva universale, oggettivo, “scientifico”. Così facendo, mise le basi di una nuova identità del filosofo: quella dello specialista, distinto dal letterato.
Il sogno infranto del Treatise
Il primo grande tentativo di Hume, il Treatise of Human Nature (1739-40), doveva fondare una “scienza dell’uomo” al pari delle scienze naturali. Ma il suo tono neutro, l’assenza di pathos e la difficoltà di lettura lo condannarono all’insuccesso. “Nacque morto dalla stampa”, scriverà lui stesso con ironia.
Quell’opera monumentale mancava proprio di ciò che Hume più ammirava nei moralisti francesi: la grazia della forma, la leggerezza dell’intuizione, la capacità di persuadere attraverso la bellezza dello stile. Il suo empirismo radicale, privo di un’ancora estetica, appariva freddo e inaccessibile. Hume comprese allora che per parlare agli uomini bisognava scrivere per il gusto di leggere.
Dalla scienza alla conversazione
La lezione fu preziosa. Negli anni successivi, Hume riscrisse i propri argomenti in saggi brevi, brillanti e narrativi, in cui il pensiero filosofico si travestiva da conversazione mondana. Gli Essays, Moral and Political furono accolti con favore, perché restituivano al lettore un tono familiare, vicino a quello dei salotti illuministi.
In quei testi, Hume divenne ciò che avrebbe sempre voluto essere: un autore capace di trattare questioni morali e civili come un artista della parola. Ma la distinzione tra “filosofia seria” e “letteratura leggera” era ormai in atto. Gli studiosi di Oxford e Cambridge, dediti a un sapere specialistico, guardarono con sospetto a chi usava la lingua comune per riflettere sul mondo. La filosofia si chiuse in un gergo tecnico, mentre la letteratura rivendicò la libertà della soggettività.
La perdita dell’unità: pensare o scrivere
Il lascito di Hume fu dunque ambiguo. Da un lato, promosse l’ideale di chiarezza, l’idea che la verità dovesse essere comunicabile e condivisa. Dall’altro, contribuì alla separazione fra l’esercizio della ragione e quello dell’immaginazione. Dopo di lui, la filosofia intraprese il cammino dell’astrazione, fino alle analisi logiche di Kant e Wittgenstein; la letteratura, invece, fece della complessità dell’esperienza il proprio regno.
L’Inghilterra e l’Europa continentale avrebbero seguito destini paralleli: da un lato l’argomentazione, dall’altro la narrazione. Persino l’Enciclopedia di Diderot, che nasceva come impresa collettiva di pensiero e scrittura, mostrava già questa tensione interna tra il discorso tecnico e quello poetico.
Un’eredità che ancora ci riguarda
Oggi, a distanza di tre secoli, la divisione fra filosofia e letteratura sembra naturale, ma non lo è. È il frutto di un passaggio storico preciso, di un esperimento linguistico nato nel cuore dell’Illuminismo. Hume cercava una lingua universale e trovò, invece, un confine.
Eppure il suo progetto rimane una lezione di equilibrio: un invito a restituire al pensiero la grazia della parola, e alla scrittura la profondità del ragionare. Forse, come Hume aveva intuito, l’uomo non pensa mai del tutto con la mente o con il cuore – ma sempre con entrambi.
Hume in breve
- Nascita: Edimburgo, 1711 – Morte: 1776
- Opera chiave: A Treatise of Human Nature (1739-40)
- Idee centrali: empirismo radicale, critica della causalità, teoria delle passioni
- Influenze: Locke, Newton, gli autori francesi dell’esprit
- Eredità: aprì la strada a Kant e alla distinzione moderna tra filosofia analitica e narrativa letteraria
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