Il silenzio delle immagini come anima del Mediterraneo

Mimmo Jodice

Le mie fotografie non parlano di Napoli, ma del mio modo di vedere Napoli. Sono un tentativo di raccontare ciò che resta quando tutto il resto è scomparso.
Mimmo Jodice

Il fotografo Mimmo Jodice, nato a Napoli nel 1934 e morto nel 2025, è stato una delle voci più originali e influenti della fotografia italiana contemporanea. Con un percorso che spazia dalla sperimentazione concettuale degli anni Sessanta alla visione metafisica del paesaggio, ha saputo trasformare la realtà in un luogo dell’anima.


«Un’alleanza fra memoria e luce»

Domenico “Mimmo” Jodice nacque il 29 marzo 1934 nel rione Sanità di Napoli. Rimasto orfano del padre in giovane età, dopo la scuola elementare iniziò a lavorare e parallelamente coltivò in proprio l’interesse per il disegno, la pittura, la musica e il teatro. Alla fine degli anni Cinquanta cominciò a fotografare, e all’alba degli anni Sessanta orientò la propria ricerca verso la fotografia come strumento espressivo e non semplicemente documentario.

Il suo debutto espositivo ufficiale risale al 1967, con una mostra personale alla Libreria “La Mandragola” di Napoli, accompagnata dalla prima pubblicazione fotografica sulla rivista Popular Photography.

Un linguaggio in trasformazione

Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, Jodice entrò in contatto con il vivace ambiente dell’avanguardia napoletana, collaborando stabilmente con figure e spazi che animavano il dibattito tra arte visiva e fotografia. In quegli anni sperimentava trattamenti astratti, collage, interventi sulla materia fotografica, alla ricerca di un linguaggio che rompesse con una visione meramente descrittiva.

A partire dagli anni Ottanta il suo sguardo si allargò al paesaggio urbano e mediterraneo: luoghi e città – in particolare Napoli – divennero protagonisti silenziosi di immagini in bianco e nero in cui memoria, archeologia del presente e segno del tempo si intrecciavano.

Napoli, il tempo e la pietra

Napoli non era soltanto la città natale di Jodice: era il punto di osservazione, il laboratorio visivo e metaforico della sua riflessione sulla contemporaneità. Egli stesso lo dichiarò, riflettendo sull’infanzia trascorsa nei luoghi storici: “musei, statue, mosaici erano persone e luoghi con cui potevo conversare”.

Opere come Vedute di Napoli (1980) segnarono una svolta: le immagini mostrano una città sospesa, in bilico tra interno storico e stimolo visivo, tra presenza e assenza. L’elemento-luce assume un ruolo decisivo: non semplice illuminazione, ma sostanza poetica e spirituale, capace di trasformare la materia in orizzonte, il segno in silenzio.

Insegnamento e riconoscimenti

Dal 1970 al 1994 (alcune fonti indicano fino al 1996) Jodice fu titolare della cattedra di fotografia presso la Accademia di Belle Arti di Napoli, contribuendo con la sua didattica alla formazione di nuove generazioni e all’affermazione della fotografia come linguaggio autonomo in Italia.

Numerosi sono stati i riconoscimenti internazionali: tra questi il Premio Antonio Feltrinelli nel 2003. Le sue mostre sono state ospitate in istituzioni di rilievo come la Maison Européenne de la Photographie di Parigi.

L’ultima grande retrospettiva a lui dedicata, intitolata Attesa / Waiting (dal 1960), ha visto la sua città natale ospitare più di cento opere suddivise in sezioni curate dallo stesso artista. Jodice si è spento il 28 ottobre 2025 all’età di 91 anni.

Eredità e provocazione visiva

L’opera di Jodice rappresenta un ponte tra la fotografia documentaria e un’idea della fotografia come esperienza visiva e concettuale. I suoi scatti invitano a «perdersi a guardare» — per citare una delle sue mostre — in quelle immagini in cui il tempo appare sospeso, in cui il paesaggio diventa testo e specchio. In un’epoca in cui l’immagine corre veloce, Jodice ci ricorda la lentezza dello sguardo, la profondità del silenzio e la potenza della pietra e della luce.


Vedute di Napoli (1980)

La città come visione interiore
Realizzata all’inizio degli anni Ottanta, Vedute di Napoli segna una svolta nella ricerca di Mimmo Jodice. Non è una semplice serie urbana: è un viaggio metafisico attraverso la città che l’artista conosceva meglio di chiunque altro. Napoli diventa un corpo sospeso nel tempo, privo di figure umane ma attraversato da presenze invisibili.

Luce e silenzio come materia poetica
Nelle sue inquadrature — scorci di porto, cupole, statue, facciate consumate — la luce non serve a rivelare ma a velare. Le ombre si addensano, i contrasti si ammorbidiscono, e l’immagine si trasforma in una superficie mentale. È il momento in cui Jodice passa dalla fotografia documentaria alla visione poetica, fondendo rigore formale e spiritualità mediterranea.

Un archetipo del Mediterraneo
Napoli, nelle Vedute, diventa simbolo universale del Mediterraneo: luogo di stratificazioni, di memoria e di permanenza. Ogni pietra, ogni scorcio architettonico rimanda a un’origine remota, e il bianco e nero asciutto diventa linguaggio dell’eternità.

Ricezione e influenza
La serie venne esposta e pubblicata in più occasioni, imponendosi come uno dei riferimenti fondamentali della fotografia italiana contemporanea. Molti critici l’hanno definita una “fenomenologia dello sguardo urbano”, capace di fondere classicità e modernità, mito e silenzio.


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