Vino dealcolato: una rivoluzione nel bicchiere?

Il vino dealcolato è un nuovo prodotto ottenuto attraverso processi di lavorazione che permettono di rimuovere l’alcol dal vino tradizionale, mantenendone il più possibile le caratteristiche organolettiche, come profumo e sapore.

Si distinguono due categorie principali:
Vino dealcolato: con un contenuto alcolico inferiore allo 0,5%
Vino parzialmente dealcolato: con un contenuto alcolico compreso tra 0,5% e 8,5%

Dopo anni di discussioni e incertezze, l’Italia si è aperta al vino dealcolato. Il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF), con il decreto ministeriale n. 672816, firmato il 20 dicembre 2024, ha recepito il regolamento europeo in materia UE 1308/2013. Con ciò ha autorizzato ufficialmente la produzione e la commercializzazione di vino con contenuto alcolico ridotto o nullo, in linea con le normative europee.

Il decreto rappresenta un punto di svolta nel panorama vitivinicolo italiano. Apre nuove prospettive per i produttori e soddisfa le esigenze di un pubblico sempre più vasto e diversificato come quello dei più giovani. La svolta, da affrontare in questi primi mesi del 2025, riguarda anche quei consumatori che scelgono di bere moderatamente, senza astenersi completamente dall’alcol in ottemperanza del nuovo Codice della strada.

Cosa ne pensano i protagonisti? Le associazioni di categoria (Federvini, Ulv, Assoenologi) hanno accolto positivamente la novità, sottolineando le opportunità che essa rappresenta per il settore. La Presidente di Federvini Micaela Pallini ha dichiarato: “La firma del decreto è un risultato significativo per il comparto vitivinicolo italiano, in una cornice normativa che non lasciava molti margini di manovra. Continueremo a lavorare per valorizzare la tradizione e il patrimonio enologico italiano anche attraverso l’introduzione di nuovi prodotti capaci di rispondere alle esigenze di un pubblico, soprattutto internazionale, sempre più attento e diversificato”.

Tutti, soddisfatti e concordi, sono perciò pronti a ridurre parzialmente o totalmente il tenore alcolico dei vini, ottenendo così un prodotto del tutto nuovo la cui componente alcolica, secondo la norma, va da 0 a 0,5% (dealcolati), e da 0,5% a 8,5% (parzialmente dealcolati). Sono, per fortuna, esclusi dal procedimento i vini Igt, Doc e Docg. Gli amanti del buon vino dovrebbero dormire, quindi, su sette cuscini.

Battute di spirito a parte, per la verità, Il vino dealcolato rappresenta una spinta alternativa al mercato tradizionale. Superato il vuoto normativo, si può fare di necessità virtù. Questo perché l’Italia è la culla della dieta mediterranea. Occorre sempre ricordarlo. La possibilità di produrre e vendere vino analcolico in Italia e all’estero è utile per perseguire le trasformazioni del mercato globale del vino.

Ma in cosa consiste il vino senza alcol? La produzione avviene mediante diverse tecniche, le quali permettono all’alcol di evaporare a basse temperature preservando, tuttavia, le sue caratteristiche organolettiche (profumo e sapore). Viene assicurato che, alla fine della lavorazione, il vino ottenuto avrà ancora il sapore di vino. Gli scettici, che non mancano mai, commentano sarcasticamente che finiranno col chiudere i battenti anche le enoteche e che ci convertiremo al latte e alla birra, come facevano i popoli nordici nel medioevo. Una nuova sfida da affrontare al Sud, dove il buon vino è stato sin dall’antichità il punto forte di quei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.


Clarice Cliff ci apre la sua stanza dei colori

Clarice Cliff

Ancora oggi, a oltre 40 anni dalla sua morte, vengono scoperti nuovi oggetti sconosciuti del suo design. Clarice Cliff, considerata la più grande artista nel campo della ceramica, continua a stupire oggi come ieri, grazie all’enorme varietà dei suoi elaborati: disegni astratti e geometrici, paesaggi e raffigurazioni floreali

“The Color Room” è un Biopic britannico della regista australiana Claire McCarthy, uscito nelle sale cinematografiche nel 2021 . L’azione si svolge negli anni Venti e Trenta ed è basata sulla vita della ceramista e icona femminista Clarice Cliff. La giovane, appartenente alla classe operaia, vive con la madre vedova Ann e la sorella minore Dot Cliff. Lavora in una fabbrica di ceramiche nelle Midlands britanniche. Piena di idee per ottenere nuove forme e colori, si muove da una fabbrica all’altra del gruppo imprenditoriale, dimentica quasi del maschilismo che la circonda. È tuttavia in grado di impressionare l’eccentrico proprietario, Arthur Colley Austin Shorter, che rimane colpito dalle sue idee e le appoggia apertamente, al contrario del fratello più tradizionalista. Shorter sostiene la linea Art Déco denominata “Bizarre” proposta da Cliff. Così, nel mezzo della Grande Depressione economica, le idee innovative e audaci della giovane designer riusciranno ad assicurare la sopravvivenza della fabbrica stessa, aprendo la strada a Clarice Cliff verso una carriera come una delle più grandi designer moderne.

Il primo timbro sul retro stampato “Bizarre” utilizzato sugli articoli 

Alcuni critici d’arte descrivono le ceramiche di Clarice Cliff come l’epitome dello stile Art Déco britannico. Clarice Cliff è considerata, infatti, una delle ceramiste inglesi più prolifiche e importanti del XX secolo grazie alle sue innovazioni nel design, nello stile e nel colore dei vasi da lei disegnati e in seguito anche prodotti.

Primo motivo “Original Bizarre” su una brocca a forma di Atene

Lo stile Art Déco da lei adottato presenta linee rette e forme geometriche, segni distintivi che caratterizzeranno le sue ideazioni. “Bizarre” era il nome della prima serie di piatti da lei concepiti. I piatti erano decorati con colori accesi, un po’ grezzi e con motivi in parte figurativi e in parte astratti. Il loro prezzo a quel tempo era relativamente basso, per questo piaceva soprattutto ad un pubblico femminile e il loro successo commerciale fu immediato ed esplosivo.

Modello croco

Dopo il successo, Clarice Cliff ha aggiunto centinaia di altri esempi. Nel 1928 concepì un dipinto a mano con semplici pennellate di tre crochi in arancione, blu e viola con foglie verdi tra di loro. Il modello a fiori incentrato su bulbi di crochi olandesi ebbe un enorme successo e diventò il suo simbolo di design. Una squadra di 20 pittori venne impegnata solo nella decorazione dei crochi. La sua carriera decollò.

Particolare dei crochi, 1928

Cliff e il suo team producevano ceramiche per uso domestico: tazze e piatti, brocche, teiere, tutto in stile Art Déco. L’artista non si accontentò di dipingere-decorare, ma passò alla progettazione di forme innovative degli utensili e con molto talento riuscì a trasferire le caratteristiche dello stile geometrico-astratto, nonché le caratteristiche del cubismo nel campo degli utensili da cucina: manici triangolari per tazze, forma cono-cono per teiere e saliere, brocche a più livelli, brocche e piatti a forma poligonale.

Nel 1929 la sua squadra contava 70 dipendenti che l’aiutarono a portare il modernismo nell’ambiente cucina. I suoi elementi di punta erano l’uso della ceramica e i colori a smalto. I nomi delle serie danno l’idea dei suoi orizzonti ideali: alba, cottage di campagna, casa estiva, ombrelli, farfalla, hotel, campanelli eolici, raggio di sole, giorno e notte.

Modello ‘Autunno Rosso’ 1930

Verso la metà degli anni ’30, i gusti cambiarono. La serie My Garden realizzata a partire dal 1934 ha aperto la strada, con piccoli fiori modellati come manico o base, a forme più arrotondate. Queste stoviglie furono interamente dipinte con colori vivaci – il corpo dei piatti ricoperto da sottili pennellate di colore – “Verdant” è verde, “Sunrise” giallo e così via. La gamma comprende vasi, ciotole, brocche, una scatola di biscotti molto apprezzata come singolo articolo da regalo. La serie fu prodotta a colori più tenui fino all’inizio della guerra nel 1939.

Altre forme modellate includono la “Raffia del 1937 basata sul tradizionale vimini dei nativi americani, decorata in uno stile simile a loro con piccoli blocchi di colore. Più popolari sono gli articoli della serie Harwest, le brocche e le ciotole con mais e frutta. Dopo la guerra questa linea fu ampiamente commercializzata in Nord America, ma prodotta ancora in Inghilterra.

Nel 1940, dopo la morte della moglie Shorter sposò Cliff e insieme vissero nella sua casa di Chetwynd House Northwood Lane a Clayton, Staffordshire. Una casa Arts and Crafts progettata nel 1899 fra le prime commissioni degli architetti britannici Richard Barry Parker e Raymond Unwin.

Motivo “Ravel” di Clarice su caffettiera di forma conica,
zucchero e panna, 1930

Durante la Seconda guerra mondiale, era consentita dalle norme di guerra solo la semplice ceramica bianca (per oggetti di utilità), quindi Cliff aiutò a gestire la fabbricazione, ma non fu impegnata nel lavoro di progettazioneb e decorazione. Concentrò il suo talento creativo nel giardinaggio dell’enorme giardino di 4 acri (1,6 ettari) a Chetwynd House, diventato la sua passione condivisa con Shorter.

Dopo la guerra, sebbene a volte Cliff fosse nostalgica per gli anni “strani”, come evidenziato nelle lettere personali agli amici, in modo realista accettò che il gusto commerciale fosse mutato verso articoli tradizionalistici. Per Clarice Cliff quei folli giorni degli anni Trenta non si sarebbero mai più riproposti.

Di recente una mostra e il primo libro “Clarice Cliff” di Peter Wentworth-Sheilds e Kay Johnson, uscito nel 1976, hanno segnato l’inizio di un rinnovato interesse per il lavoro dell’artista ceramista, che continua ad essere apprezzato dai collezionisti di ceramiche Art Déco.


Le donne rivendicano: “C’è una strega in ognuna di noi”

La figura storica della “strega” è oggi reinterpretata in chiave moderna.

Sul tema la grande diffusione di libri, serie televisive, film, ma anche social media, ha contribuito alla reinterpretazione della “strega” e alla sua rinata popolarità. La cultura popolare ha promosso l’idea che “c’è una strega in ognuna di noi”, offrendo a milioni di donne e ragazze un modello che si è evoluto negli anni. Oggi l’appellativo viene rivendicato da molte donne come sinonimo di persona ribelle, sessualmente libera, potente, scomoda.

Con Halloween le streghe riaffiorano insieme ad altre figure spaventose evocate per l’occasione. Ma di streghe oramai non si parla solo alla sera di festa che precede il 1° novembre, dal momento che sia la figura storica, sia quella folclorica della “strega”, sono sempre più reinterpretate in una chiave moderna. Le streghe sono, infatti, sempre più connesse con i movimenti femministi oppure associate a rivendicazioni politiche, fungendo da metafora della condizione femminile soggetta all’egemonia patriarcale. Pertanto, a differenza di zucche, zombie e altri poltergeist, le streghe – presentate come donne perseguitate solo per il fatto di essere donne – sono divenute un tema ricorrente nel dibattito pubblico. Gli storici di professione, al contrario, tendono a evitare generalizzazioni sull’argomento, pur riconoscendo le motivazioni misogine delle accuse e la realtà delle numerose donne perseguitate e uccise per stregoneria.

Quindi, di cosa parliamo quando ci riferiamo a “streghe”? Per rispondere, è necessario considerare tre aspetti distinti ma complementari.

  • In primo luogo, la reale persecuzione degli individui accusati di stregoneria.
  • In secondo luogo, la dimensione simbolica della stregoneria, intesa come un costrutto culturale sviluppato nel corso dei secoli e ancora rilevante oggi.
  • In terzo luogo, il fenomeno contemporaneo di persone che si identificano come “streghe”, in particolare seguaci di movimenti neopagani.

I primi processi per stregoneria appaiono nelle fonti storiche all’inizio del XIII secolo, specialmente nell’Italia settentrionale. Divennero più frequenti con il cambiamento di percezione della Chiesa, che avviò un grande progetto per combattere tutte le eresie, in un contesto di crisi politica e affermazione del potere papale. Venne istituita l’Inquisizione. In questo paradigma, la stregoneria implicava un patto con il diavolo e l’invocazione dei demoni, e gli accusati affrontavano la punizione riservata agli eretici: il rogo.

Un momento chiave fu la promulgazione della bolla papale “Super illius specula” da parte di Papa Giovanni XXII nel 1326, che vedeva la stregoneria come una minaccia per la società cristiana. Anche le autorità secolari parteciparono alla repressione. I processi divennero più frequenti fino alla fine del XV secolo.

Mentre nel Medioevo uomini e donne erano colpiti in egual misura, tra il 1560 e il 1750 l’80-85% dei perseguiti erano donne. Tale cambiamento può essere compreso esaminando il concetto di Sabba, costruito nel XV secolo, che inizialmente includeva entrambi i sessi. Questo perché stereotipi contro le donne emersero rapidamente, con l’idea di una presunta debolezza si credette che fossero più suscettibili al diavolo rispetto agli uomini.

Diversi sviluppi, in età moderna, portarono alla fine dei processi e alla depenalizzazione della stregoneria, come l’editto del Parlamento di Parigi del 1682 e il Witchcraft Act del 1736. Dopo la depenalizzazione, il fenomeno divenne oggetto di studio e interesse. Jules Michelet, in “Satanismo e stregoneria” (1862), contribuì significativamente alla riabilitazione del personaggio della strega, sottolineandone la dimensione simbolica e mitica. Alcuni autori, come i fratelli Grimm, esplorarono le connessioni tra stregoneria e antiche credenze pagane.

A cavallo del XX secolo, Alphonse Montague Summers sostenne che le streghe facevano parte di un’organizzazione segreta ostile alla Chiesa e allo Stato, perseguendo culti pagani antecedenti al cristianesimo. Margaret Alice Murray avanzò nuove e controverse interpretazioni della stregoneria come culto pagano. Le sue teorie influenzarono movimenti neopagani come la Wicca, iniziata nel Regno Unito da Gerald Gardner.

Alla fine del XIX secolo, durante la prima ondata del femminismo, Matilda Joslyn Gage vedeva le streghe come simboli della scienza repressa dall’autoritarismo religioso. Nel movimento di liberazione delle donne, le idee di Murray ispirarono il Movimento di liberazione delle streghe, che generò numerosi gruppi femministi negli Stati Uniti. Questi cercarono di riabilitare il termine “strega” come simbolo di resistenza femminile.

Scrittrici come Barbara Ehrenreich e Deirdre English proposero teorie sulle persecuzioni basate sulla minaccia che la conoscenza delle donne rappresentava per l’establishment medico maschile, anche se non vi è prova di una correlazione diretta. In Italia, movimenti attivisti presero ispirazione dalla visione di Michelet, utilizzando lo slogan “Tremate, tremate, le streghe sono tornate”.

Secondo studiose come Leopoldina Fortunati e Silvia Federici, la nascita del capitalismo comportò l’espropriazione sistematica delle donne da parte degli uomini. Françoise d’Eaubonne considerava la caccia alle streghe come una “guerra secolare contro le donne”. La figura della strega è diventata un simbolo dell’emancipazione femminile, riflettendo preoccupazioni politiche, sociali e culturali contemporanee.


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Due passi nella filosofia tra cose difficili rese semplici

Nella filosofia post-kantiana, si sviluppa l’idealismo tedesco. Il primo esponente di questa corrente fu Johann Gottlieb Fichte, il quale per modernizzare il pensiero kantiano sintetizzò ragion pura e ragion pratica, avendo origine dall’identico “Io”. Se Kant sosteneva che il soggetto plasmava l’esperienza, Fichte gli contrappone la creazione dell’oggetto da parte dell’esperienza, anche se attuata dall’inconscio, salvando uno dei punti realistici della filosofia kantiana (detta criticismo).

Sempre rimanendo nell’idealismo tedesco, a Fichte seguì Schelling. Egli propose l’oggetto (il non-io), posto dall’io (la natura). Ambedue sostenevano un soggetto e oggetto, che rimanevano distinti ed uniti, allo stesso tempo, a livello puramente intuitivo. Schelling sintetizzò, così, l’idealismo critico di Fichte col razionalismo di Spinoza.

Fichte e Schelling velocemente lasciarono il palcoscenico, sostituiti da Hegel (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, 1770-1831). Questo, rielaborando il pensiero circolare di Cartesio, propose un soggetto e oggetto non più uniti ma mediati, sostenendo un’interpretazione dove il divenire logico della Storia, generato dall’Assoluto, serve a rendere ragione dello stesso. Nel suo ragionamento Hegel va oltre la logica sequenziale di Aristotele affermando la supremazia della razionalità sull’intuizione (“ciò che è reale è razionale”), dove ogni principio ha già in sé il suo contrario. Secondo il pensiero hegeliano la filosofia si conclude nella dialettica stessa, che la motiva. Si supera quindi ogni rapporto con una dimensione assoluta dove si ha un azzeramento del pensiero filosofico.

L’eredità di Hegel venne, successivamente, reinterpretata da Feuerbach e Karl Marx (1818-1883) proponendo, quest’ultimo, il suo materialismo dialettico. Secondo Marx, infatti, la teoria hegeliana è sostanzialmente materialista. Per Marx, quindi, l’Assoluto coincide con la Storia. Così come i due principi, la ragione e la realtà, per Marx sono in contrapposizione con la struttura economica e la sovrastruttura culturale. Struttura e sovrastruttura, per il momento differenziate, troveranno alla fine della Storia  la loro unità. Dalla teoria hegeliana, Marx rielabora la sua filosofia sulla prassi, da cui in seguito scaturirà il suo impegno politico e sociale, che svilupperà insieme a Friedrich Engels.

Tra gli altri filosofi del XIX secolo, da annotare: John Stuart Mill (esponente britannico) e Ralph Waldo Emerson (del trascendentalismo americano). Quindi, Søren Kierkegaard (1813-1855), che fu fondatore dell’esistenzialismo, che ebbe un atteggiamento critico verso la teoria hegeliana, sostenendo che nella storia operino principi che non si possono conciliare, né unire o mediare dalla ragione. Infine, Friedrich Nietzsche (1844-1900), portatore del superuomo, teoria che ebbe conseguenze nel successivo Novecento. Il filosofo criticò aspramente i contenuti portati dalla religione e dalla metafisica europea, a suo avviso tendenzialmente nichilisti.

Søren Kierkegaard e Friedrich Nietzsche gettarono le fondamenta di quello che sarà l’esistenzialismo, movimento proprio del Novecento. Se la filosofia dell’Ottocento aveva perso la strada, inseguendo universi metafisici, Kierkegaard cercò di ricondurla sulla strada di Socrate, e cioè soggettività, fede ed impegno, per tornare a ragionare della condizione umana, unica per tutti. Il filosofo rilevava gravi mancanze nel suo tempo, caratterizzato “dal disprezzo assoluto nei confronti del singolo uomo”. Anche Nietzsche, discutendo dei valori morali del sua epoca, fu molto critico per quelli tradizionali. Nietzsche, infatti, rilevava una moralità signore-servo, cioè, la differenza tra la moralità degli “schiavi” ed una più consona per i loro padroni.

Nel secolo successivo (XX) si creò una divergenza di vedute tra pensiero europeo (con una grande varietà di tendenze e correnti, dove prevarrà un pensiero ontologico e gnoseologico) e pensiero anglosassone (con un rapporto più utilitaristico, che condurrà alla filosofia analitica). Il dibattito che ne scaturì nel continente (inizio secolo) fu rielaborato e discusso, comunque, nella fucina di idee e proposte rappresentata dal Circolo di Vienna. Questo fu fondato da Moritz Schlick, aperto nel 1922 e chiuso nel 1936, ad opera del nazismo. Al Circolo parteciparono filosofi, scienziati, psicologi e quanto di meglio nel mondo della cultura di allora. Ebbe una grande importanza sul pensiero mondiale, fino alla sua costretta chiusura.

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Di giorno in giorno – Logos – L’idealismo tedesco


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