L’insidia dello zucchero: un dolce inganno per la salute

La pagina illustra i pericoli del consumo eccessivo di zucchero nei prodotti alimentari industriali. Lo spunto è offerto da un articolo di Marco Brando sulla rivista Atlante di Treccani.

L’articolo menziona gli effetti negativi sulla salute come diabete, obesità e ipertensione. Spiega anche le ragioni psicologiche e neurologiche alla base del nostro desiderio di zucchero, citando esperti e studi. Il documento evidenzia ulteriormente il ruolo dell’industria alimentare e del marketing nel promuovere il consumo di prodotti malsani e ricchi di zucchero. Infine, suggerisce potenziali soluzioni sia a livello individuale che sociale, sottolineando l’importanza dell’istruzione e delle scelte informate.

L’eccessivo consumo di zucchero, spesso nascosto in molti alimenti insospettabili, sta diventando una seria preoccupazione per la salute pubblica. Le conseguenze di questa iper-assunzione, che spesso avviene senza che ne siamo pienamente consapevoli, sono molteplici e vanno dal diabete all’obesità, dall’ipertensione ad altre patologie correlate.

Il nostro amore per i sapori dolci ha radici profonde. Come spiega la professoressa Simona Bertoli, specialista in nutrizione e obesità, il senso del gusto si sviluppa sin dalla nascita e il primo sapore che sperimentiamo è proprio quello dolce del latte materno. Questa esperienza primordiale crea un legame emotivo con i dolci, associandoli a momenti di gioia e conforto.

Tuttavia, questa preferenza innata viene sfruttata dall’industria alimentare. Uno studio del Max Planck Institute for Metabolism Research di Colonia, in collaborazione con l’Università di Yale, ha dimostrato che il consumo di cibi ricchi di zuccheri (e grassi) stimola il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore che induce una sensazione di piacere. Questo meccanismo crea un circolo vizioso, spingendoci a consumare quantità sempre maggiori di questi alimenti per ottenere la stessa gratificazione.

L’industria alimentare è ben consapevole di questi meccanismi e utilizza sapientemente questi fattori per rendere i propri prodotti sempre più appetibili, spesso a scapito della nostra salute. Come sottolinea ancora la professoressa Bertoli, l’abitudine di consumare quotidianamente bevande zuccherate, ad esempio, comporta l’introduzione di “calorie vuote”, prive di nutrienti essenziali, che favoriscono l’obesità e il diabete.

Il professor Giovanni Ballarini, decano dell’antropologia nutrizionale, in un suo commento, evidenzia un paradosso: mentre la denutrizione e l’obesità sono in aumento, proliferano alimenti che appagano i nostri sensi ma non apportano benefici nutrizionali, se non addirittura dannosi. Questi prodotti, promossi da un’industria che ha sviluppato il concetto del “buono da vendere, buono da mangiare”, vengono prodotti, distribuiti e consumati in grandi quantità, spesso grazie a strategie di marketing mirate.

L’avvento dell’era digitale ha amplificato ulteriormente il potere del marketing alimentare. Social media, food blogger, influencer e campagne pubblicitarie raggiungono un pubblico vasto e variegato, promuovendo cibi e bevande spesso poco salutari.

Come possiamo proteggerci da questa “trappola dolce”? A livello individuale, è fondamentale prestare attenzione alla spesa, limitando il consumo di cibi trasformati e privilegiando alimenti freschi e naturali. A livello statale, è indispensabile promuovere l’educazione alimentare, a partire dalle scuole dell’infanzia fino alle mense aziendali, per fornire ai cittadini gli strumenti necessari per fare scelte alimentari consapevoli. La strada è ancora lunga, ma la consapevolezza e l’informazione corretta sono il primo passo per invertire la tendenza e tutelare la nostra salute.

PER SAPERNE DI PIÙ

Marco Brando – Cibo, l’invasione degli ultrazuccherati
Simona Bertoli – Zuccheri a cosa servono e quando fanno male
Giovanni Ballarini – Buono da vendere, buono da mangiare
Uno studio scientifico del Max Planck Institute for Metabolism Research

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Microsoft: 50 anni di tecnologia e rivoluzioni

Cinquant’anni fa, in un modesto motel di Albuquerque, due giovani appassionati di computer posero le basi di quella che sarebbe diventata una delle aziende più influenti della storia dell’informatica. Era il 4 aprile 1975 quando Bill Gates e Paul Allen, allora poco più che ventenni, firmarono il loro primo contratto con la MITS per fornire un linguaggio di programmazione destinato all’Altair 8800, un rudimentale microcomputer appena arrivato sul mercato.

Quel progetto, nato tra pile di manuali e notti insonni, fu l’inizio di Microsoft. All’epoca, i computer erano oggetti ingombranti e costosi, confinati a università e grandi aziende. L’idea che ogni casa potesse averne uno sembrava pura fantascienza. Ma Gates aveva una convinzione: un giorno, ogni scrivania e ogni famiglia avrebbe avuto il proprio computer. Una visione che, a distanza di mezzo secolo, si è concretizzata: secondo le stime attuali, nel mondo circolano oltre 3 miliardi di computer, la maggior parte con sistema operativo Windows.

Nel giro di pochi anni, Microsoft consolidò la sua posizione con l’MS-DOS e, soprattutto, con Windows, l’interfaccia grafica che rese i computer più accessibili al grande pubblico. Negli anni ’90, la società dominava incontrastata: software come Word ed Excel divennero standard globali e Windows 95 fu un successo planetario. Ma l’egemonia attirò anche le attenzioni delle autorità antitrust americane, che accusarono Microsoft di soffocare la concorrenza.

Dopo il boom degli anni ’90, Microsoft visse un periodo di transizione. Steve Ballmer, subentrato a Gates nel 2000, puntò a rafforzare l’azienda su più fronti: dalla nascita della console Xbox, alla diffusione di software aziendali, fino all’acquisto di Skype. Ma la vera rivoluzione stava avvenendo altrove.

Apple lanciava l’iPhone, Google Android, e il mondo si spostava rapidamente verso il mobile. Microsoft, troppo legata ai propri modelli tradizionali, reagì con lentezza. I tentativi di entrare nel mercato degli smartphone arrivarono tardi e senza successo duraturo. La società, pur solida, sembrava aver perso lo slancio innovativo dei suoi primi anni.

Il vero cambio di passo arrivò nel 2014 con l’ascesa di Satya Nadella alla guida dell’azienda. Ingegnere di formazione e manager pragmatico, Nadella mise al centro della strategia il cloud computing, l’intelligenza artificiale e la cultura dell’apertura.

Microsoft smise di considerare Linux un nemico, rese disponibili i propri software su iOS e Android, e investì pesantemente in Azure, la sua piattaforma cloud, oggi seconda solo ad Amazon. L’acquisizione di GitHub, il successo di Teams e, più recentemente, la partnership strategica con OpenAI hanno riportato Microsoft al centro della scena. Nel 2023, la capitalizzazione ha toccato i 3.000 miliardi di dollari, e la società è tornata ad essere considerata uno dei motori dell’innovazione globale.

Cinquant’anni dopo quel primo contratto, Microsoft è ben più di un produttore di software. È una forza trainante nella trasformazione digitale del pianeta, protagonista nell’intelligenza artificiale, nella produttività, nell’educazione e nei servizi cloud. Ha vissuto alti e bassi, è stata idolatrata e criticata, ha vinto e perso battaglie cruciali, ma ha saputo restare rilevante in un settore dove l’obsolescenza è sempre dietro l’angolo.

Se i prossimi cinquant’anni saranno altrettanto turbolenti e rivoluzionari, Microsoft avrà bisogno di un nuovo tipo di visione. Ma la storia insegna che, a Redmond, le idee per reinventarsi non mancano mai.


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Antoni Gaudí tra modernismo, fede e identità catalana

Con l’arrivo della primavera, le gite scolastiche in Europa diventano un’occasione entusiasmante per esplorare città meravigliose come Parigi, Londra, Berlino, Amsterdam, Praga, Vienna, Budapest, Atene e Lisbona. Tra queste mete spicca Barcellona, il vibrante capoluogo della Catalogna, situato sul mar Mediterraneo e circondato dai Pirenei. Barcellona è stata la ventesima città più visitata nel mondo nel 2011 da turisti internazionali, e la 5ª in Europa dopo Londra, Parigi, Istanbul e Roma, attirando ben 5,5 milioni di visitatori! Passeggiare lungo la famosa strada pedonale Las Ramblas è un’esperienza indimenticabile che contribuisce alla sua popolarità.

La città è nota per essere la culla del genio architettonico Antoni Gaudí, le cui opere straordinarie attraggono ogni anno turisti da tutto il mondo. La sua creazione più iconica, la Sagrada Família, è un imponente simbolo di Barcellona. Immagina visitare questa maestosa chiesa che è in costruzione dal 1882 e prevede la sua ultimazione intorno al 2026! Finanziata solo dalle offerte e dai biglietti dei visitatori, la Sagrada Família è una testimonianza vivente della dedizione e della fede.

Le meraviglie di Gaudí non finiscono qui: si può esplorare il colorato Parco Güell, stupirsi davanti alla Casa Milà chiamata “La Pedrera”, ammirare la creatività di Casa Batlló, visitare Palazzo Güell e scoprire Casa Vicens. Ogni angolo di Barcellona invita a vivere un’avventura unica e affascinante!

Nella Barcellona di fine Ottocento, infatti, Antoni Gaudí i Cornet emerge come una figura anomala e rivoluzionaria. In un’epoca in cui la Spagna appare culturalmente marginale rispetto al fervore europeo, Gaudí anticipa le tendenze dell’Art Nouveau con un linguaggio personale che intreccia misticismo, nazionalismo catalano e una libertà formale senza precedenti.

Nato nel 1852, Gaudí si forma in un contesto dove il revival gotico è carico di un’identità culturale molto sentita. Per lui l’anno decisivo è il 1888, quando Gaudí partecipa all’Esposizione Universale di Barcellona. Qui viene notato dall’industriale Eusebi Güell, che diventerà il suo più importante mecenate. Il sodalizio tra i due darà vita a una serie di quelle opere emblematiche che lo hanno reso famoso.

Tra il 1903 e il 1914, Gaudí lavora al Parc Güell, originariamente concepito come complesso residenziale ispirato all’ideale della città-giardino. Il progetto, trasformato in parco pubblico, rappresenta una delle espressioni più compiute della sua fantasia costruttiva: padiglioni dai tetti frastagliati ricoperti di ceramiche policrome, portici sorretti da colonne inclinate rivestite in pietra grezza, strutture che si fondono con il paesaggio in un gioco continuo tra artificio e natura.

Ma è nella Sagrada Família che Gaudí incarna pienamente la sua visione spirituale e architettonica. Iniziato nel 1883, il progetto lo assorbe completamente a partire dal 1914. Gaudí abbandona ogni altro incarico, si trasferisce nel cantiere e arriva a chiedere elemosina per finanziare i lavori. Le forme gotiche vengono dilatate in strutture ardite, ai limiti della statica, mentre le superfici curve e policrome celebrano una religiosità popolare e intensa. La basilica resta incompiuta alla sua morte, ma la Facciata della Natività e le torri laterali testimoniano la potenza visionaria del suo disegno originario.

L’ultima immagine di Gaudí è tragica e simbolica. Il 7 giugno 1926 viene investito da un tram mentre cammina verso la Sagrada Família. A causa dell’aspetto trasandato, viene scambiato per un senzatetto e portato all’ospedale dei poveri, dove morirà tre giorni dopo, all’età di 73 anni. Rifiuta di essere trasferito altrove: “Il mio posto è qui, tra i poveri”, dirà. Il genio che aveva trasformato la pietra in preghiera si congeda così, nella stessa umiltà con cui aveva vissuto.


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