Porto Santo Stefano oggi, panorama
Barche da pesca all’Argentario

Per il mio giro del mondo sono partito da Porto Santo Stefano, sul promontorio dell’Argentario, bagnato dalle acque del Tirreno. Qui risale il più lontano ricordo che ho dell’infanzia. I miei nonni paterni vi avevano comperato un appartamento per la villeggiatura. Per cui, con la memoria, sono lì nella grande cucina, col naso spiaccicato sul vetro dell’enorme finestrone. È tutto enorme nei ricordi di un bambino e io avevo poco più di tre anni.

Dietro di me, qualcuno disse: “Stasera Sergio è triste”. Mi sorprese che lo pensassero, perché in verità ero incantato dalle luci dei lampioni che nell’oscurità ritagliavano il lungomare. Cercavo di scorgere la spiaggia dove giocavo ogni mattina.

Avevo sentito dire che saremmo tornati a casa e desideravo fissare nella memoria quello scenario di linee sinuose. Non conoscevo ancora le novità, e non le conosceva nessuno, perché in autunno, con mia grande gioia, tutta la famiglia fu di nuovo a Porto Santo Stefano.

Quella per me fu una lunga estate, perché a Roma mio nonno riunì moglie e figli per annunciare la decisione di coronare il suo sogno. Sarebbe diventato un armatore. Aveva adocchiato un peschereccio in vendita e svelò le trattative, intraprese durante le vacanze, per assumere un equipaggio tutto suo. Naturalmente fu una levata di scudi generale, perché quelle conclusioni scompaginavano il disegno di vita familiare fino ad allora condiviso.

Lui, mio nonno Salvatore, risoluto com’era, non ascoltò nessuno e tirò dritto. Così ci trovammo di nuovo a Porto Santo Stefano, questa volta, però, per l’inaugurazione della “nave”. Il sacerdote benedisse ogni angolo e ogni persona. Pensavo che dopo quella specie di processione da poppa a prua e ritorno, finalmente, avrei potuto manovrare col timone in alto mare. Rimanemmo, invece, ancorati alla banchina. In compenso arrivarono rustici e pasticcini.

Nel da fare generale fui affidato al chierichetto. Ricordo distintamente la mia prima “dotta disquisizione”, per via di un pezzo di pomodoro che gettai in mare. Preferivo salsa e mozzarella. Le acciughe mi erano indifferenti. Per questo mi toccò spiegare che non stavamo mangiando una pizza napoletana, ma romana. Mi stupii che il ragazzino vestito da prete – ben più grande di me – non conoscesse la differenza. Per la verità non la conoscevo neppure io, fino al momento di uscire di casa.

Pizza alla romana

Mi avevano avvertito di non fare capricci per la pizza. Sapevano bene che stravedevo per la napoletana, ma quel pomeriggio sarebbe stata alla romana, altrettanto buona. Tranne la presenza di acciughe, non scorsi differenza alcuna. Capii allora che a me piaceva la pizza: qualunque tipo di pizza.

Da quel momento Porto Santo Stefano non fu più soltanto luogo di villeggiatura e ci tornammo spesso, anche durante l’inverno. L’idea del mare – quando montava in tempesta e i pescherecci rimanevano alla fonda – fino a poco più di tre anni non poteva sfiorarmi. In seguito, dalla mia stanza, imparai a distinguere le onde frangersi sugli scogli nella notte nera come la pece.

In breve, quel peschereccio da costa fu il primo di una “flotta”, che mio nonno avrebbe voluto accrescere col tempo. Morì a 64 anni, troppo presto per riuscirci. Lo ricordo cordiale e distinto, sempre in giacca e cravatta. Elegante nel suo completo color miele al mattino – con l’immancabile “Messaggero” che spuntava dalla tasca – o testa di moro nel pomeriggio. Di me diceva che da grande avrei fatto l’ingegnere, per realizzare case moderne in calcestruzzo armato, sopraelevate da pilotis. Oggi so che nelle sue descrizioni stava mentalmente scorrendo le splendide immagini di Villa Savoye a Poissy.

Villa Savoye a Poissy, veduta delle facciate ovest e sud