Il concetto di un’unica eredità culturale che si estende dall’antica Grecia ai tempi moderni è soltanto frutto del nostro immaginario collettivo.

Occorre perciò riscrivere una nuova storia dell’Occidente

Why the Idea of Western Civilization is More Myth Than History
Di Naoíse Mac Sweeney
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L’arazzo di Bayeux completo

L’articolo di Naoíse Mac Sweeney riguarda la necessità di riscrivere una storia dell’Occidente. Da leggere assolutamente. S’intitola: “Perché l’idea della civiltà occidentale è più mito che storia”. Un tema interessante da condividere per valutarne e apprezzarne i risvolti positivi. Ciò che impressiona è anzitutto la familiarità con cui Naoise Mac Sweeney si rivolge al pubblico. Interpreta il ruolo di mamma, lei che può vantare un titolo accademico quale professore di archeologia classica all’Università di Vienna, dopo essere passata per Leicester, Cambridge e Harvard. Apre così il suo pezzo: «Un fine settimana, ho trovato mio figlio minore al tavolo della cucina, che scriveva con cura tutto ciò che sapeva sugli dèi dell’Olimpo per i compiti di scuola…».

Lo immaginate voi uno dei nostri paludati professori scodellare un incipit di tal genere prefiggendosi di demolire l’idea che la civiltà occidentale non è che una finzione che ci raccontiamo, pur sapendo che è di fatto falsa? «Allacciati le cinture, ragazzo, ho pensato: sei pronto per una conferenza». Naturalmente la professoressa non ha fatto a suo figlio alcuna conferenza. «Mentre dava gli ultimi ritocchi ai suoi compiti, gli ho dato invece una pacca affettuosa sulla spalla. Ho ponderato tra me e me: forse dovrei scrivere in un libro tutto questo», cioè quanto spiega con sintesi lineare nel suo articolo.

L’invito è leggerlo direttamente, ma si può anche riassumerlo in poche battute essenziali. «Avrei voluto dirgli che gli antichi greci non ci hanno dato la civiltà occidentale. Che non esiste un filo d’oro, che si dispiega ininterrotto nel tempo da Platone alla NATO. Che noi nell’occidente moderno non siamo gli eredi di una tradizione culturale unica ed elevata…».

Una tradizione che si può ricostruire procedendo a ritroso come un gambero: la modernità illuminista, prima ancora la modernità rinascimentale, per conquistare infine, passando attraverso l’oscurità del periodo medievale, le glorie della Grecia classica e di Roma. Sembra normale, persino naturale, pensare «che l’Occidente moderno sia il custode di un’eredità privilegiata, tramandata attraverso una sorta di genealogia culturale che di solito chiamiamo “civiltà occidentale”».

Alla professoressa si potrebbe rispondere che la maggior parte di persone non si preoccupa di spostare di un solo millimetro l’angolo del proprio timone, figurarsi se si azzarda ad orientarlo diversamente. Ad esempio, per considerare che il più grande centro di cultura classica medievale, in fatto di scienze, era a Baghdad, capitale del califfato abbaside, dove convergevano i nuovi sviluppi filosofici e scientifici da tutta l’Asia, l’Africa e l’Europa.

«In parole povere, la vera storia dell’Occidente è molto più ricca e molto più complessa di quanto riconosca la tradizionale grande narrativa della civiltà occidentale. Non è un filo d’oro, ma un arazzo d’oro, in cui nel corso dei secoli si sono intrecciati fili di popoli, culture e idee diverse… Allora da dove è venuta l’idea comune? E perché ci aggrappiamo ancora a una versione della storia occidentale che sappiamo essere falsa?».

Le radici di questa narrazione – spiega Naoise Mac Sweeney – risalgono al Rinascimento, impregnato di antichità greca e romana. Una antichità oggi messa in discussione dalla stessa ricerca storica e archeologica. L’idea di un “Occidente” coerente, legato ad una comune eredità classica, ad una comune geografia, ad un condiviso cristianesimo. Un’idea manifestata diversi secoli dopo.

«Fu solo con l’espansione dell’imperialismo europeo d’oltremare nel corso del XVII secolo che iniziò ad emergere un’idea più coerente di Occidente, utilizzata come strumento concettuale per tracciare la distinzione tra il tipo di persone che potevano essere legittimamente colonizzate, e coloro che legittimamente avrebbero potuto essere i colonizzatori».

Con l’invenzione dell’Occidente arriva l’invenzione della storia occidentale. «Ma se l’Occidente e la sua storia sono stati inventati nelle capitali imperiali dell’Europa del XVII secolo, la nozione di civiltà occidentale è nata nel XVIII secolo sui campi di battaglia del rivoluzionario Nord America».

Da Adams a Washington, ad ogni piè sospinto s’è trovata ispirazione nel mondo classico per sostenere il proprio fervore rivoluzionario e giustificarne le incongruenze. A cominciare dal grido libertario che, allo stesso tempo, consentisse il rifiuto delle catene dell’imperialismo, pur continuando ad imporle con la schiavitù nera, oppure che giustificasse il trattamento differenziato dei diversi gruppi sociali. La civiltà occidentale era, a conti fatti, un mito inventato per soddisfare le esigenze ideologiche del tempo.

A ben considerare, tuttavia, l’Occidente moderno oggi non ha più gli stessi valori essenziali di trecento anni fa. «Non abbiamo bisogno di un mito d’origine che sia fondamentalmente in contrasto con i valori occidentali contemporanei come la democrazia liberale, lo stato di diritto e l’uguaglianza dei diritti umani».

Conclusioni: «Se vogliamo rafforzare l’identità occidentale attorno ai nostri moderni valori occidentali, dobbiamo quindi abbattere il mito della civiltà occidentale». Per farlo occorre contare sui fatti storici effettivi. «Questo è più complesso di quanto consentano le storie tradizionali». Non vengono in aiuto delle vere e proprie caratteristiche innate, ma piuttosto è necessario un innovativo modello di scambio interculturale.

Alla fine della sua riflessione, non potendola raccontare a suo figlio in pochi tratti, questa storia Naoíse Mac Sweeney l’ha condensata in The West, ovvero in un libro. Parla dell’Occidente attraverso quattordici personaggi che hanno avuto un ruolo nella creazione della sua storia: da Erodoto, un vero narratore di storie, a Phylis Wheatley, uno schiavo afroamericano, da Gladstone, che la regina Vittoria descrisse come un “tizzone mezzo matto”, allo studioso arabo medievale Al-Kindi. Una successione di soggetti particolari, alcuni poco celebrati ed altri, al contrario, volti molto familiari osservati in virtù di una nuova ottica.

Per chiudere, fra i tanti commentatori di The West, valgano per tutti le parole con cui Jared Yates Sexton presenta il libro: «Ecco una storia onesta, scrupolosa ed emozionante che capovolge quasi tutto ciò che pensiamo di sapere sul mondo e lo sostituisce con informazioni reali, cifre convincenti e idee destinate a cambiare tutto».