
Nel panorama sempre più affollato delle app, una nuova generazione di piattaforme digitali si sta affermando con un obiettivo ambizioso: aiutare le persone a fare amicizia. Non incontri sentimentali né collaborazioni professionali, ma legami sociali disinteressati, che nella vita adulta — e ancor più nelle metropoli — sembrano diventati difficili da costruire.
Lontane dal modello di Tinder o Bumble nella loro versione originale, queste app non puntano a creare coppie, ma a ricostruire una rete di relazioni là dove spesso si è logorata o dissolta. Il target? Persone sopra i trent’anni, single o appena trasferite, professionisti che lavorano da remoto o semplicemente individui che, per via dei ritmi quotidiani, hanno perso il contatto con la propria cerchia sociale. L’epidemia silenziosa di cui parlano i media anglosassoni, la cosiddetta loneliness epidemic, ha ormai assunto i contorni di un fenomeno sociale strutturato, al punto da aver generato un mercato in crescita.
Quando la solitudine incontra l’algoritmo
Una delle realtà più attive in questo settore è Timeleft, fondata nel 2020 e attualmente presente in diverse città italiane, tra cui Milano, Roma, Firenze, Torino, Palermo, Genova e Bologna. Con 50mila utenti solo in Italia, l’app propone un’esperienza sociale ben definita: ogni mercoledì sera, chi lo desidera può prenotare un posto a tavola in un ristorante e cenare con sconosciuti selezionati dall’algoritmo, che incrocia preferenze e tratti della personalità. L’obiettivo è formare piccoli gruppi eterogenei ma potenzialmente compatibili, abbinando ad esempio persone estroverse a persone più riservate, per facilitare le dinamiche di gruppo e rompere il ghiaccio. Dopo l’incontro, l’app offre la possibilità di rimanere in contatto, se l’esperienza è stata positiva.
Un meccanismo simile guida anche Tablo, app fondata nel 2019 dall’italiano Paolo Bavaro, che ha conosciuto una crescita esponenziale nel post-pandemia, raggiungendo 600mila utenti attivi. Il funzionamento è semplice: chiunque può organizzare una “tavolata sociale” in un locale, aprendo la partecipazione ad altri utenti della zona. Le cene possono avere un tema — dal calcio all’uncinetto — ma più spesso puntano su un’aggregazione territoriale, favorendo la conoscenza tra abitanti dello stesso quartiere. I risultati sembrano incoraggianti: amicizie che si trasformano in viaggi condivisi, relazioni nate tra commensali che oggi si sono evolute in famiglie con figli.
I limiti della connessione digitale
A fronte dell’entusiasmo iniziale, resta però un interrogativo cruciale: le app per fare amicizia funzionano davvero? Il successo immediato di queste piattaforme sembra indicare una domanda reale e urgente, ma la risposta non è così semplice.
Le motivazioni che spingono gli utenti a iscriversi sono molteplici: la difficoltà a ritrovare un nuovo equilibrio sociale dopo un trasloco o una separazione, la mancanza di colleghi in contesti di lavoro da remoto, la rarefazione delle occasioni d’incontro nel tempo libero. In particolare, chi ha tra i 30 e i 50 anni appare più esposto a questi fenomeni: finita la stagione dell’università e delle amicizie spontanee, inizia quella della famiglia, del lavoro, degli impegni. E ricostruire relazioni profonde diventa più faticoso.
Da questo punto di vista, le app cercano di colmare un vuoto che si è allargato con il mutare degli stili di vita urbani. Nei grandi centri, dove le occasioni di socializzazione non sono gratuite né sempre accessibili, e dove le relazioni tendono a essere più fluide e intermittenti, diventa sempre più difficile stringere nuovi legami duraturi. E proprio in questi contesti si inseriscono piattaforme come Bumble For Friends — costola della celebre app di dating — che adottano il meccanismo dello “swipe” per cercare amicizie: si naviga tra centinaia di profili e si entra in contatto solo se l’interesse è reciproco.
Amicizie a portata di click?
Il limite principale di queste soluzioni sta però nella loro stessa natura: offrono strumenti, ma non possono garantire esiti. Stabilire una connessione è il primo passo, ma costruire un’amicizia richiede tempo, dedizione, presenza. Il passaggio dal contatto all’intimità resta ancora al di fuori della portata degli algoritmi. Anche quando un incontro avviene, la possibilità che si trasformi in una relazione autentica dipende da fattori che le app non possono prevedere né replicare: l’alchimia, la continuità, la fiducia.
Ciononostante, le esperienze di Timeleft e Tablo dimostrano che creare spazi, anche digitali, per facilitare l’incontro tra sconosciuti può essere un inizio concreto. Il valore non sta tanto nell’automatismo del risultato, quanto nella possibilità di riattivare una dinamica sociale che la vita adulta tende a scoraggiare. Le tavolate organizzate, i gruppi tematici, gli abbinamenti strategici non risolvono il problema della solitudine, ma offrono l’occasione — spesso mancata — di riaprire il dialogo.
Verso una nuova socialità?
In un’epoca in cui tutto si può fare online, il paradosso è che il bisogno di contatto reale si fa più forte. Le app per l’amicizia non sostituiscono gli spazi pubblici, ma li evocano: cercano di offrire una versione digitale delle piazze, dei bar di quartiere, dei centri culturali che un tempo fungevano da snodi sociali spontanei. Funzionano nella misura in cui riescono a riportare le persone, fisicamente, l’una accanto all’altra.
Forse il loro vero valore non è quello di far nascere amicizie in senso stretto, ma di restituire una forma concreta a un desiderio collettivo: quello di sentirsi parte di qualcosa, riconosciuti e accolti in un tessuto sociale, anche solo per una sera. In un mondo frammentato e iperconnesso, non è poco.
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