
L’infanzia, quel territorio fertile dell’immaginazione, è spesso popolato da figure elusive, compagni di giochi che sfidano le leggi della realtà: gli amici immaginari. Questi alter ego, talvolta invisibili, altre volte incarnati in un oggetto di uso quotidiano, rappresentano un fenomeno sorprendentemente comune e ricco di sfumature psicologiche. Tracy Gleason, docente di psicologia al Wellesley College e fine studiosa di questi “compagni immaginari”, ci guida in un’esplorazione di tale affascinante aspetto dello sviluppo infantile.
Contrariamente alla rappresentazione stereotipata di entità eteree che popolano l’immaginario horror, l’amico immaginario assume sovente le sembianze di un oggetto animato dalla fervida fantasia del bambino. Un peluche, una bambola, o, come nel curioso caso riportato da Gleason, una lattina di concentrato di pomodoro, possono diventare il fulcro di un’intensa relazione affettiva.
La diffusione di questo fenomeno è tutt’altro che aneddotica. Uno studio del 2004 ha rivelato che una percentuale significativa, pari al 65%, dei bambini dichiara di aver avuto almeno un amico immaginario entro il settimo anno di età. Ma quali sono le motivazioni che si celano dietro questa tendenza universale?
Gleason suggerisce che l’amico immaginario possa rappresentare uno strumento per sperimentare le complessità del mondo sociale in un ambiente protetto. In un contesto in cui le dinamiche relazionali possono apparire labirintiche e imprevedibili, l’amico immaginario offre un porto sicuro, un confidente che non tradisce e non giudica.
Naomi Aguiar, ricercatrice e co-autrice di un volume sul tema, aggiunge un’ulteriore dimensione a questa analisi, sottolineando il ruolo ludico e di intrattenimento che questi compagni svolgono nella vita dei bambini. In fondo, la risposta potrebbe essere tanto semplice quanto profonda: i bambini creano amici immaginari perché è divertente.
Oltre l’infanzia: la persistenza del compagno immaginario
Sebbene l’amico immaginario sia un fenomeno tipico della prima infanzia, la sua presenza può estendersi all’età scolare, all’adolescenza e persino all’età adulta. La varietà delle forme che questi compagni possono assumere è sorprendente. Uno studio del 2004 ha rilevato che il 57% degli amici immaginari erano figure umane, il 41% animali, e un residuo 1% includeva esseri capaci di metamorfosi.
Le testimonianze raccolte da Aguiar e altri ricercatori offrono uno spaccato affascinante della ricchezza e della complessità di queste relazioni. Si va dalla bambina di nove anni amica di una “tigre siberiana invisibile”, dotata di forza ma bisognosa di conforto, al bambino con un pony di peluche “agente segreto con vista a raggi X”, fino all’inatteso “cartone del latte invisibile”, descritto come una sorta di coscienza.
Questi esempi evidenziano come l’amico immaginario possa fungere da specchio delle emozioni e delle preoccupazioni del bambino, aiutandolo a elaborare le sfide relazionali tipiche della sua età. Le amicizie, con le loro regole non scritte e la loro natura volontaria, possono generare ansia e incertezza. L’amico immaginario offre un terreno di prova per sperimentare dinamiche sociali, negoziare conflitti e comprendere le sfumature delle interazioni umane.
Non di rado, infatti, l’idillio immaginario è interrotto da litigi e incomprensioni. Un’amica immaginaria che tira i capelli o un gorilla che si ostina a non voler andare al parco diventano pretesti per esplorare le frustrazioni e le difficoltà che si incontrano nel tessere legami con gli altri.
Normalità, creatività e crescita
È fondamentale sottolineare che la presenza di un amico immaginario rientra pienamente nella normalità dello sviluppo infantile. Contrariamente a vecchie credenze che lo associavano a solitudine o disturbi emotivi, gli esperti concordano nel considerarlo un fenomeno sano e persino benefico.
In alcuni casi, l’amico immaginario può rappresentare un meccanismo di coping di fronte a eventi traumatici. Bambini che hanno subito abusi, ad esempio, possono inventare figure protettive che li aiutino a elaborare l’esperienza. Allo stesso modo, periodi di isolamento, come quelli imposti dalla pandemia, possono intensificare il ricorso a compagni immaginari come fonte di conforto e svago.
Ma al di là di queste situazioni particolari, l’amico immaginario è soprattutto un’espressione della straordinaria creatività infantile e del bisogno di gioco. Christine Nguyen, madre di due figli, racconta con vivacità dell’amicizia della figlia con Hammie, un criceto di peluche irriverente e sopra le righe. Hammie, con le sue bravate e il suo stile di vita eccentrico, incarna il desiderio di trasgressione e di libertà che spesso caratterizza l’infanzia.
In un mondo in cui i bambini sono costantemente sottoposti a regole e limitazioni, l’amico immaginario rappresenta uno spazio di autonomia e di creazione illimitata. È un territorio in cui l’immaginazione regna sovrana e in cui ogni bambino può essere l’artefice del proprio universo narrativo.
In conclusione, l’amico immaginario non è semplicemente un capriccio infantile, ma un fenomeno complesso e sfaccettato che merita di essere osservato con curiosità e rispetto. È una finestra sulla ricchezza della vita interiore dei bambini, sulle loro capacità creative e sulla loro resilienza nel costruire un significato nel mondo che li circonda.
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