Substack, un’editoria parallela, intima e fluida, nata dal web

Da terra di nessuno a rifugio creativo per scrittori in cerca di libertà: la piattaforma Substack sta ridefinendo le regole della narrazione e della pubblicazione, tra newsletter sperimentali, affezionati lettori digitali e qualche ombra non trascurabile. È un’editoria parallela, intima e fluida, nata dal web e sempre più strutturata, che affascina sia le penne emergenti che i grandi nomi della narrativa mondiale.


Nata nel 2017 a San Francisco da un’idea di Chris Best, Hamish McKenzie e Jairaj Sethi, Substack era, inizialmente, solo una piattaforma per newsletter. Oggi è diventata molto di più: uno spazio a metà tra blog, vetrina e social network, in cui scrittori, giornalisti e creativi di ogni tipo pubblicano contenuti direttamente per i propri lettori. I testi non passano da redazioni, editori o algoritmi pubblicitari: arrivano nella casella email degli iscritti e, in molti casi, generano abbonamenti a pagamento. Un modello semplice, ma dirompente, che ha riscritto il rapporto tra autori e pubblico.

Oggi Substack conta 5 milioni di abbonamenti a pagamento. I dieci account di maggiore successo generano complessivamente oltre 40 milioni di dollari l’anno. Eppure, più dei numeri, colpisce il tipo di scrittura che sta fiorendo su questa piattaforma: narrativa d’appendice, saggi autobiografici, autofiction, analisi culturali, reportage, racconti horror, riflessioni diaristiche, contenuti multimediali. Insomma, un ecosistema ibrido e creativo, spesso lontano dai generi canonici dell’editoria tradizionale.

La libertà di raccontare

Uno dei casi più emblematici è quello di Naomi Kanakia, scrittrice americana che ha pubblicato su Substack un racconto di 15.000 parole, poi recensito con entusiasmo dal New Yorker. Il giornalista Peter C. Baker, seguendo la vicenda, ha colto il senso profondo dell’esperienza: leggere quel testo è stato, a suo dire, come “entrare in una puntata trash di un reality”, ma poi lasciarsi trasportare da una narrazione capace di toccare corde profonde, là dove il racconto trova il suo significato autentico.

Kanakia paragona Substack a una “open mic night digitale”, dove ogni autore può testare il proprio lavoro davanti a un pubblico reale, immediato, partecipe. Una dimensione interattiva e affettiva che trasforma la scrittura in un’esperienza condivisa, costruita giorno dopo giorno, newsletter dopo newsletter.

Il vantaggio è duplice: da un lato, l’autore controlla direttamente il contenuto e il rapporto con i lettori; dall’altro, può monetizzare senza mediazioni. Secondo i dati interni alla piattaforma, se almeno il 10% degli iscritti gratuiti si converte in abbonato a pagamento, un autore può raggiungere una sostenibilità economica del proprio lavoro.

Tra Stati Uniti e Italia: la narrativa in diretta

Il successo di Substack ha travalicato l’oceano. In Italia, Paolo Di Paolo – finalista al Premio Strega 2024 – ha scelto la piattaforma per lanciare 1999, un progetto narrativo sperimentale composto da venti newsletter che combinano testo, fotografie, tracce audio, dettagli d’epoca e perfino letture interpretate da attori come Filippo Scotti, già protagonista del film È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. L’insieme ha il tono del romanzo d’appendice, aggiornato in chiave digitale, dove il lettore ascolta, guarda e legge allo stesso tempo.

Un altro nome di rilievo è quello di Paolo Nori, finalista allo Strega 2025, che prosegue la sua autofiction a puntate con lo stile personalissimo e disincantato che lo ha reso popolare tra gli appassionati della scrittura spezzata e ironica. La sua presenza su Substack è la prosecuzione ideale delle scritture online che già animavano i suoi blog, ma con un pubblico più fedele, attivo e – spesso – pagante.

La crisi dell’editoria e la necessità di reinventarsi

Dietro il boom di Substack c’è però un fenomeno più profondo: la crisi strutturale dell’editoria. Secondo i dati dell’Associazione Italiana Editori, nei primi quattro mesi del 2025 il mercato del libro ha registrato un calo del 3,6% in valore e del 3,2% in copie vendute rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: quasi un milione di volumi in meno acquistati. Le cause sono molteplici: l’impatto dello smartphone sulla lettura continuativa, l’invecchiamento della popolazione, il declino delle abitudini culturali tradizionali.

Le rilevazioni Istat mostrano che i lettori più assidui sono ancora i giovani tra gli 11 e i 14 anni, in particolare le ragazze. Ma già dopo i 15 anni, il tempo dedicato alla lettura cala bruscamente, fagocitato dallo scrolling infinito di contenuti. In questo scenario, per chi scrive, le alternative si fanno urgenti. E piattaforme come Substack offrono una via d’uscita: un modo per raggiungere direttamente i lettori, fuori dai meccanismi di mercato, dalle promozioni librarie e dalle logiche delle grandi case editrici.

Le luci e le ombre del modello

Non mancano, però, le critiche. Substack è finita al centro delle polemiche per aver ospitato e monetizzato contenuti di estrema destra o figure controverse come Steve Bannon, Joe Rogan e Joseph Mercola, promotore di teorie anti-scientifiche. La piattaforma ha rifiutato di intervenire con misure di censura, sostenendo una linea di libertà d’espressione radicale, ma aprendo al contempo interrogativi etici sulla responsabilità editoriale.

C’è poi il rischio di una polarizzazione del dibattito, simile a quella dei social network: chi ha già un grande seguito guadagna ulteriore visibilità e risorse, mentre gli autori emergenti faticano a farsi notare. Alcuni osservatori hanno sollevato il dubbio che Substack, dietro la facciata indipendente, finisca per replicare le stesse dinamiche di esclusione del sistema editoriale tradizionale.

Una nuova forma di letteratura?

Eppure, nel cuore di questo nuovo paesaggio digitale, qualcosa di autenticamente interessante sta accadendo. Le opere che nascono su Substack sono spesso ibride, fluide, difficili da classificare: racconti lunghi, memoir, saggi brevi, dialoghi con i lettori, riflessioni sul mestiere di scrivere. Sono testi in trasformazione, che si modellano anche in base ai feedback ricevuti, ai gusti del pubblico, alle suggestioni del momento.

Scrittori come Salman Rushdie, Etgar Keret, Rick Moody o Chuck Palahniuk hanno scelto Substack per sperimentare forme nuove, per proporre testi “non ufficiali”, per esplorare senza filtri. La piattaforma è diventata una sorta di zona franca letteraria, in cui coesistono l’autoproduzione, il rapporto diretto con i lettori e una libertà formale rara altrove.

È forse presto per dire se il “prossimo grande romanzo americano” verrà pubblicato su Substack, come suggeriva provocatoriamente un articolo del New Yorker. Ma è certo che oggi, su questa piattaforma, si sta scrivendo una nuova pagina della letteratura contemporanea: una pagina digitale, partecipata, flessibile. E, forse, irrimediabilmente diversa da tutte le precedenti.


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