L’Arazzo di Bayeux: una narrazione millenaria tra arte, potere e diplomazia

Dopo quasi un millennio, uno dei capolavori più enigmatici e affascinanti del Medioevo lascia la Normandia per essere esposto a Londra. Un prestito storico, che intreccia diplomazia culturale, memoria collettiva e identità europea.


Nel 2026, un evento senza precedenti segnerà il panorama culturale europeo: l’Arazzo di Bayeux, una delle più straordinarie testimonianze artistiche dell’XI secolo, sarà esposto per la prima volta nel Regno Unito, dopo quasi mille anni dalla sua realizzazione. L’accordo di prestito, siglato tra il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer, prevede che il celebre manufatto venga accolto nella prestigiosa Sainsbury Exhibitions Gallery del British Museum, dove rimarrà in mostra da settembre 2026 a luglio 2027.

In cambio, alcuni dei pezzi più significativi delle collezioni britanniche — tra cui i tesori di Sutton Hoo e gli scacchi di Lewis — saranno temporaneamente trasferiti in Francia, rinsaldando un dialogo culturale bilaterale che, dopo le tensioni seguite alla Brexit, assume un valore tanto simbolico quanto concreto. Il prestito si inserisce in un contesto più ampio: una stagione culturale congiunta che culminerà nel 2027 con la celebrazione dei mille anni dalla nascita di Guglielmo il Conquistatore e con la partenza del Tour de France dal suolo britannico.

Un’opera senza eguali

L’Arazzo di Bayeux è molto più di un ricamo. È una narrazione visiva lunga quasi 70 metri, alta circa 50 centimetri, composta da 58 scene che illustrano, con una chiarezza e un ritmo sorprendenti, gli eventi che portarono alla conquista normanna dell’Inghilterra nel 1066. Dall’elezione di Aroldo come re d’Inghilterra, al suo giuramento a Guglielmo, fino alla battaglia di Hastings e alla sua morte — forse, come da iconografia celebre, trafitto da una freccia all’occhio —, l’arazzo si legge come un fumetto ante litteram, una “graphic novel” medievale che unisce racconto storico e allusione simbolica.

Ma l’interesse per quest’opera non è solo narrativo. Il punto Bayeux, la tecnica di ricamo usata per riempire le superfici, testimonia una perizia artigianale straordinaria. Il supporto è di lino, i filati sono in lana colorata, con decorazioni minime in oro. Nonostante alcuni danni e restauri, l’arazzo è giunto fino a noi in condizioni sorprendenti, tanto da essere definito “un miracolo della conservazione” da Sylvette Lemagnen, una delle sue più autorevoli studiose.

Un enigma tra arte e propaganda

Realizzato probabilmente tra il 1068 e il 1070, l’arazzo sarebbe stato confezionato in Inghilterra, forse nel Kent, da artigiani anglosassoni. La committenza è oggetto di dibattito. La teoria più accreditata lo attribuisce al vescovo Oddone di Bayeux, fratellastro di Guglielmo, che dopo la conquista fu nominato conte di Kent. Ma c’è chi indica in Eustachio II di Boulogne, nobile normanno coinvolto nelle lotte post-conquista, il possibile committente, o chi ipotizza addirittura che i ricamatori anglosassoni abbiano inserito messaggi nascosti nell’opera, attraverso favole e simboli che costellano le bande superiore e inferiore del tessuto.

In ogni caso, l’arazzo ha una chiara valenza politica. Rappresenta la conquista normanna non come atto di forza, ma come esito legittimo di un giuramento infranto da Aroldo. In tal senso, diventa uno strumento di propaganda visiva, che intende convincere i sudditi anglosassoni della legittimità del nuovo ordine.

Storia di una sopravvivenza

Attraverso guerre, rivoluzioni e restauri, l’Arazzo di Bayeux è sopravvissuto per oltre nove secoli. Esposto in varie sedi, ha trovato dal 1983 la sua dimora stabile nel museo di Bayeux, in Normandia. Ma la chiusura dell’edificio per lavori di restauro, prevista nel 2026, ha creato l’occasione perfetta per il suo viaggio in Gran Bretagna.

Non è la prima volta che il Regno Unito tenta di ospitare l’arazzo: già nel 1953, per l’incoronazione di Elisabetta II, e nel 1966, per il novecentenario della battaglia di Hastings, furono avanzate richieste in tal senso. Solo nel 2022 si è raggiunto un accordo formale, poi rimandato per motivi conservativi, vista l’estrema fragilità del tessuto.

Questa volta, dopo approfonditi studi e un progetto condiviso tra istituzioni museali e scientifiche, il trasferimento è stato approvato. Nicholas Cullinan, direttore del British Museum, ha definito l’arrivo dell’arazzo “una delle più straordinarie opportunità espositive della nostra epoca”, sottolineandone l’importanza storica e simbolica: “È un ponte tra due nazioni legate da una storia comune, che ha affascinato generazioni intere.”

Un’opera ancora aperta

Non tutto, però, è arrivato fino a noi. L’arazzo sembra mancare dei metri finali, quelli che probabilmente raffiguravano l’incoronazione di Guglielmo all’abbazia di Westminster, evento che segnò l’inizio della monarchia normanna in Inghilterra. “La fine deve ancora essere scritta”, ha detto Macron durante un discorso ufficiale a Windsor, con chiaro intento poetico e politico.

Un’osservazione che apre uno spiraglio su una verità più ampia: l’Arazzo di Bayeux, pur essendo un oggetto del passato, parla ancora al presente. Ci ricorda quanto la narrazione visiva sia sempre stata uno strumento di potere e quanto l’arte possa ancora essere un medium diplomatico, capace di creare ponti dove i confini si sono irrigiditi.

Tra memoria e futuro

Il ritorno dell’arazzo in terra inglese è dunque molto più di un evento museale. È un gesto culturale carico di significati: rievoca una conquista, restituisce una memoria condivisa, celebra un’identità europea intrecciata. Ed è anche, in qualche modo, un monito: ci invita a guardare alla storia non come a un repertorio di certezze, ma come a un testo in continua riscrittura, dove ogni immagine — proprio come in un ricamo — può cambiare senso a seconda di chi la osserva.

Chi visiterà Londra nel 2026 potrà finalmente ammirare da vicino la cometa di Halley che solca il cielo nel ricamo, l’armata normanna che sbarca sulle coste inglesi, la tensione epica della battaglia, ma anche la sottile ironia delle favole cucite nei margini, come quella della volpe e del corvo, forse allusione ai due contendenti della storia.

L’arte medievale ha ancora molto da dire. E l’Arazzo di Bayeux, a quasi mille anni dalla sua nascita, è qui a ricordarcelo.


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