David Hockney alla Fondation Louis Vuitton di Parigi: 70 anni di creatività

Nel cuore della primavera parigina del 2025, la Fondation Louis Vuitton apre le sue porte a una delle mostre più imponenti e ambiziose mai dedicate a un artista vivente. David Hockney, maestro indiscusso della pittura contemporanea, occupa fino al 31 agosto tutti gli spazi dell’edificio disegnato da Frank Gehry, trasformando l’architettura in un’estensione del proprio universo visivo. Con oltre quattrocento opere, realizzate tra il 1955 e il 2025, questa retrospettiva monumentale si propone come una celebrazione della vitalità, dell’audacia e della capacità di costante reinvenzione di uno degli artisti più longevi e versatili del nostro tempo.

A partire dal titolo, che riprende un motto caro a Hockney – “Ricorda che non possono annullare la primavera” – la mostra assume i contorni di un messaggio di resilienza estetica. Curata con la partecipazione diretta dell’artista, in collaborazione con Jean-Pierre Gonçalves de Lima, suo storico compagno di lavoro, l’esposizione si distingue non solo per la quantità di opere esposte – dipinti, disegni, video, opere digitali e installazioni immersive – ma per la coerenza con cui queste tessono il racconto di un percorso creativo lungo settant’anni.

Un’esperienza immersiva senza precedenti

L’intero percorso si articola su undici gallerie, ciascuna con una propria identità, ma pensata come parte di un insieme organico. La narrazione si apre con una selezione di lavori giovanili, tra cui spicca il Ritratto di mio padre (1955), realizzato durante gli anni di formazione alla Bradford School of Art. Segue il periodo californiano, iconico e solare, con le celebri tele dedicate alle piscine – A Bigger Splash (1967) e Portrait of an Artist (Pool with Two Figures) (1972), quest’ultimo passato alla storia per essere stato battuto all’asta nel 2018 per 90 milioni di dollari, stabilendo un record per un artista vivente.

La sezione successiva esplora i lavori tra gli anni Ottanta e Novanta, epoca in cui Hockney intensifica il proprio interesse per la natura e i grandi paesaggi. L’opera A Bigger Grand Canyon (1998), con la sua struttura prospettica quasi cubista, testimonia il desiderio di superare i limiti della rappresentazione fotografica, una tensione che già aveva portato l’artista a sperimentare con collage fotografici composti da decine di immagini unite per offrire una visione più tridimensionale del reale.

Il cuore dell’esposizione: la maturità tra Yorkshire, Normandia e Londra

L’asse portante della mostra è rappresentato dagli ultimi venticinque anni della carriera di Hockney, periodo in cui l’artista si stabilisce nello Yorkshire e poi in Normandia. Qui, la natura diventa osservatorio privilegiato del mutare delle stagioni e degli stati d’animo. L’opera Bigger Trees near Warter (2007), prestata dalla Tate, segna un punto culminante nella riflessione sul paesaggio britannico, mentre May Blossom on the Roman Road (2009) esplode in un’esuberanza primaverile che sembra quasi voler gridare la propria esistenza.

In parallelo, Hockney sviluppa una nuova forma di ritratto intimo e diretto, realizzato con l’iPad: amici, familiari e fiori vengono tratteggiati con colori brillanti, in una sintesi tra tradizione e innovazione. Sessanta di questi ritratti digitali, stampati e incorniciati in stile classico, compongono una delle sezioni più sorprendenti dell’esposizione. L’opera Guardando i fiori (incorniciati) (2022), dove volti e nature morte convivono nella stessa installazione murale, condensa lo spirito ironico e tenero dell’artista.

La Normandia: un nuovo laboratorio creativo

Il primo piano della Fondazione è interamente dedicato al ciclo normanno, con una serie di opere realizzate durante il lockdown del 2020. Attraverso la tavoletta digitale, Hockney cattura la rinascita primaverile della campagna francese: la serie 220 for 2020, composta interamente su iPad, documenta giorno per giorno la trasformazione del paesaggio, giocando con la luce e il tempo. In una sala adiacente, una collezione di disegni a inchiostro – La Grande Cour (2019) – rievoca la solennità narrativa dell’arazzo di Bayeux, intrecciando memoria storica e attualità visiva.

Il dialogo con la storia dell’arte

Ma Hockney non si limita a reinventare se stesso: dialoga costantemente con la storia della pittura. La sezione The Great Wall (2000) – che raccoglie riproduzioni di opere dal Quattrocento in poi – apre a una riflessione più ampia sulla genealogia del suo sguardo. Le influenze del primo Rinascimento, dei maestri fiamminghi, ma anche di Cézanne, Picasso e Van Gogh emergono in modo esplicito nella Galleria 9, dove sono esposti dipinti che sembrano rendere omaggio a questi padri spirituali.

Un’altra galleria è dedicata alla passione di Hockney per la musica e la danza: lo spazio espositivo si trasforma in una sala da ballo, ispirata alla casa dell’artista, dove vengono reinterpretate alcune delle scenografie operistiche da lui progettate sin dagli anni Settanta, in una nuova composizione multimediale realizzata con 59 Studio.

Londra e l’enigma dell’ultima stagione

La mostra si chiude con una sala intima, riservata alle opere più recenti, realizzate a Londra dal 2023. Qui l’artista si confronta con modelli iconografici come Edvard Munch e William Blake, dando vita a dipinti enigmatici che attraversano confini tra arte, spiritualità e scienza: After Munch: Less is Known than People Think (2023) e After Blake: Less is Known than People Think (2024) condensano riferimenti astronomici, storici e geografici in un linguaggio visivo essenziale ma denso di significato. In chiusura, l’ultimo autoritratto dell’artista suggella un percorso di ricerca che si è fatto, con il tempo, sempre più interiore.

Un artista oltre le definizioni

David Hockney, nato a Bradford nel 1937, è oggi non solo uno dei protagonisti indiscussi della pop art, ma anche un pioniere della sperimentazione tecnologica in campo artistico. Designer, pittore, fotografo, scenografo, autore digitale: la sua carriera si è distinta per una sorprendente capacità di attraversare media, generi e linguaggi mantenendo intatta una voce personale e riconoscibile. Sinestetico nel percepire suoni come colori, capace di reinventarsi a ogni stagione della vita, Hockney incarna una visione dell’arte come forma di resistenza alla linearità del tempo.

La mostra alla Fondation Louis Vuitton non è solo una retrospettiva, ma un viaggio dentro un pensiero visivo in continua evoluzione, che continua a fiorire come una primavera inesausta.


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