“Il comandante mi ha chiesto di dare lezioni di disegno ai miei compagni”

Il giovane Manet raccontato dagli amici

Brani tratti da Sergio Bertolami, Manet et manebit, 2017, Experiences

Finalmente a Rio de Janeiro

La baia di Rio gli appare “charmante”. Mette piede sulla terra ferma e fa subito amicizia. È ospite in una villetta tipicamente brasiliana del suo nuovo amico, Jules Lacarrière, un giovane della sua età. Dopo pranzo escono per una passeggiata. La città è grande, ma per contro le strade sono strette. Sottolinea che «per l’Europeo in qualche modo un po’ artista», come sicuramente si sente lui, Rio offre un carattere tutto particolare. Nei limiti di una lettera riesce a restituire le sue impressioni, né più né meno come farebbe se dovesse schizzare le scene sul suo taccuino da disegno. In strada non si incontrano che neri e nere, perché i Brasiliani escono poco e le loro donne ancora meno. Non le si vedono che quando si recano a messa oppure la sera dopo cena, quando si affacciano alle loro finestre. Allora è possibile guardarle con tutto agio, perché durante il giorno, se per caso si accorgono che le stai guardando, si ritirano immediatamente. In questo paese tutti i neri sono schiavi. Commenta la realtà sociale, evidenziando che tutti questi sfortunati hanno un aspetto abbrutito; il potere che hanno su di loro i bianchi è straordinario.  Vede un mercato di schiavi, uno spettacolo piuttosto rivoltante per un europeo. Questi neri hanno per vestito un pantalone, qualche volta una camicia di tela, ma non è loro permesso in quanto schiavi di indossare scarpe. Le donne di colore sono per lo più nude fino alla cintura, alcune hanno un foulard legato al collo che cade sul petto, e sono generalmente brutte; comunque ne ha viste anche di belle. Alcune si raccolgono i capelli a turbante, altre acconciano i loro capelli crespi in modo artistico. Portano gonne con volant mostruosi. Quanto alle Brasiliane sono generalmente molto belle; hanno occhi magnificamente neri così come i capelli, acconciati alla cinese ed escono in strada sempre con il capo scoperto. L’abbigliamento è quello tipico delle colonie spagnole, con abiti molto leggeri ben diversi da quelli francesi. Le donne non escono mai da sole, ma sono sempre seguite dalla loro schiava nera oppure sono accompagnate dai propri figli. In questo paese, ci si sposa a 14 anni. Nel suo vagare visita diverse chiese, ma non valgono quelle francesi, benché tutte d’oro e tutte illuminate; tuttavia mancano di gusto. In città vi sono alcuni monasteri, tra cui un convento italiano dove i reverendi padri portano i pantaloni e la barba lunga. Tutto costa terribilmente caro a Rio; si usano sia le banconote che monete di rame. A Rio le donne si fanno trasportare in palanchino; ma ci sono anche vetture e omnibus trainati da asini. Questa è la particolarità: si servono infatti di asini anziché dei cavalli. Esiste anche un palazzo dell’imperatore. È una vera bicocca, meschina; del resto il sovrano non ci abita spesso, giacché dimora a qualche chilometro di distanza in un castello chiamato San Cristoforo. La milizia brasiliana non manca di essere davvero comica. I brasiliani hanno anche una Guardia Nazionale. Esiste una legge sulla stampa entrata in vigore da poco tempo, perché sono insorti problemi ed è stato necessario inviare truppe a Baia per tutto il tempo.

Una delle navi postali della Royal Mail Steam Packet che effettuano il servizio tra l’Europa e il Brasile

Edouard descrive minuziosamente quanto osserva, anche perché non ha nulla di più interessante in cui impegnarsi, dal momento che c’è una pioggia terribile che dura da quattro o cinque giorni senza sosta, ed è ancora più fastidiosa della pioggia a bordo. Poi forse la notizia per lui più esaltante: «Non abbiamo trovato a Rio nessun maestro di disegno, per cui il comandante mi ha chiesto di dare lezioni ai miei compagni. Eccomi dunque promosso a maestro di disegno. Devo dirvi [cara mamma] che durante la traversata mi ero già fatto una reputazione, tanto che tutti gli ufficiali e gli insegnanti mi hanno richiesto la loro caricatura e il Comandante stesso mi ha chiesto la sua come dono di fine anno; ho avuto il piacere di impegnarmi in ogni maniera per accontentare tutti».
Ogni giovedì i principianti escono alle 4 del mattino e in barca raggiungono la baia che affianca la città per fare delle escursioni in campagna. Si pranza o si cena sul posto. Le passeggiate sono splendide, perché si può godere lo spettacolo della più bella natura possibile. La cosa più buona è la frutta che hanno a volontà. Tutti i giorni, infatti, una scialuppa salpa dal paese viene fino sotto bordo, carica di banane, arance, ananas. E tutto è a buon mercato.
Il carnevale di Rio ha un carattere particolare. La Domenica grassa Manet l’ha passata a passeggio per l’intera giornata girando in lungo e in largo la città. Le manifestazioni folcloristiche iniziano alle tre. Tutte le donne brasiliane si mettono fuori dalle loro porte o dai loro balconi e lanciano ai passanti delle bombe di cera di tutti i colori e piene d’acqua che chiamano “Limons”. In diverse strade è assalito secondo la consuetudine del paese. Ma anche lui, come tutti, ha le tasche piene di questi “limoni” e risponde al suo meglio. Questo trambusto d’allegria dura fino alle sei di sera, poi tutto rientra nell’ordine e un ballo mascherato, copiato sulla falsariga dei balli dell’Opera, ma è riservato ai soli Francesi.

Martedì grasso lo trascorre in campagna. Malauguratamente, scrive, ci sono un sacco di serpenti e camminando nella boscaglia occorre fare continuamente attenzione. Ma ci sono anche colibrì affascinanti. Informa di essere in procinto di andare a passare tre giorni in campagna con tre vecchi amici e tre compagni di bordo. Si divertono “da matti”; vanno a caccia nei boschi vergini. Come si vede, sono lettere minuziose, ricche di particolari. Manet è affascinato da tutto ciò che vede in questa città di Rio, così colorata, così lontana dalla sua raffinata Parigi. Dipinge parole, come dipingerebbe tele. Ma deve stare attento agli orari, perché è stato avvertito di consegnare le sue lettere entro tre ore dalla partenza della nave postale. Il servizio della linea Atlantica è assicurato da una società inglese, la Royal Mail Steam Packet, che fa scalo a Rio, così come in tutti i porti che la Le Havre-et-Guadalupe ha toccato venendo in Brasile.
Il 26 di Febbraio, con il cugino Jules Dejouy si apre a considerazioni ben più personali: «Spero che tu sia in grado di decifrare i miei scarabocchi, le mie impressioni. Ti confesso che i primi tempi mi son parsi duri, il maltempo, il mal di mare mi avevano disgustato totalmente del mestiere. Mi sono detto più d’una volta: che diavolo ci sto a fare in questa galera, ma i nostri cattivi giorni sono passati e ora siamo diventati dei mainai esperti. Rio de Janeiro ci ha fatto dimenticare alcuni dei nostri problemi, la brutalità alla quale non eravamo stati abituati o la collera reiterata di un comandante despota».  Ripete quanto già scritto a sua madre che «sebbene la città sia piuttosto brutta, si presenta per un artista con un carattere speciale». Il giovane marinaio, promosso sul campo maestro di disegno, si sente un artista e riprende a schizzare caratteri.

Edouard Manet, schizzo inviato per lettera durante il viaggio a Rio de Janeiro

Racconta del carnevale, trascorso in un modo piuttosto divertente. Come tutti, si è visto vittima e attore. Tutte le signore della città – la borghesia brasiliana, perciò, e non i neri a servizio – si mettono alle loro finestre a partire dalle tre e lanciano a tutti gli uomini che passano i loro “limoni” cioè le palle di cera piene d’acqua, che si rompono quando colpiscono “la vittima” e la ricoprono d’acqua. È consentito del resto ai signori di rendere la pariglia, e per parte sua ha utilizzato il permesso. Quanto alla campagna intorno, niente è così gradevole, da non averne mai visto di simile in natura. Racconta di aver fatto una partita con un po’ di vecchi amici su di un’isola della baia, e di essersi divertito molto. L’abitazione in cui ha dimorato per tre giorni è deliziosa e tutta dal carattere creolo. Hanno fatto escursioni nella foresta vergine piena di curiosità, salvo i serpenti che rovinano non poco il piacere della passeggiata. Sorprende un pizzico di nostalgia: «Ora che conosco a fondo Rio, desidero ardentemente di rivedere la Francia e ritrovarmi il più possibile vicino a voi». Ma con la sua verve, domanda al cugino: «Che dici tu, tu gran politico, della nomina di Luigi Napoleone? soprattutto non andate a chiamarlo imperatore, sarebbe troppo divertente».

Edouard Manet, schizzo inviato per lettera durante il viaggio a Rio de Janeiro

Sempre dalla rada di Rio a bordo della nave, una lettera è anche per suo fratello Eugenio. «Eccoci quasi alla fine della nostra campagna, perché il prossimo 10 aprile lasceremo Rio portando con noi 8 passeggeri e 12 nuovi allievi brasiliani; e ti assicuro, sarò felice quando vedrò il porto di Le Havre, anche se ora mi sono abituato alla vita di mare e mi sembra di aver vissuto fino ad ora a bordo di una nave. La carriera mi piace molto, nonostante le numerose difficoltà; ma fortunatamente per noi imparare è stata dura perché a partire dal terzo giorno di navigazione abbiamo avuto tempo pessimo fino a Ténérife, tempeste, ecc. e abbiamo fatto in due mesi un viaggio che si fa ordinariamente in 40 giorni. Ebbene! Lo crederai tu, io mi annoio più quando sono a Rio che quando sono in mare». Racconta che durante una gita in campagna fatta con persone del luogo è stato morso al piede da “un rettile qualunque”. «Il mio piede è divenuto orribilmente gonfio, ho sofferto il martirio». Confessa, però, che per quanto riguarda questo buon paese d’America non osa pronunciarsi troppo, Perché malgrado la bella natura, piove continuamente e con piogge mostruose che durano dai 4 ai 5 giorni. Non è neppure più incantato dal suo soggiorno in rada. «Ci sono molti francesi a Rio per cui non si è imbarazzati per farsi comprendere. Quanto ai Portoghesi e Brasiliani sono persone molli, lente, e io credo poco ospitali; in strada non si incontrano che neri, tutti schiavi, e formano i tre quarti della popolazione di Rio».  Sembra che la fascinazione del primo mese vada scemando nel secondo e non vede l’ora di salpare per il ritorno. L’esperienza sembra comunque sulla via della conclusione. Persino i giornali locali parlano di loro. È apparso un articolo sul vascello scuola francese nel quale è riportato un grande elogio degli allievi e dei professori. «Noi siamo divenuti rudi alla manovra; noi serriamo le nostre vele, se non meglio, almeno così bene delle navi da guerra alla fonda vicino a noi, e abbiamo ricevuto dei complimenti».

Edouard Manet, schizzo inviato per lettera durante il viaggio a Rio de Janeiro

Édouard non manca di raccontare l’ultima grande novità. In quel momento a Rio c’è un gran movimento verso un nuovo paese che si chiama California. Le navi partono per raggiungere i territori americani sul Pacifico. Addirittura, gli equipaggi delle navi, e i comandanti stessi, disertano per andare a cercare l’oro. Da non credere! Le cose di prima necessità si vendono a prezzi esorbitanti, tanto l’oro è comune e la ricchezza facile ad accumulare. Una bottiglia di birra costa 150 franchi. La California è la famosa occasione per far fortuna.  Il 22 marzo 1849 scrive l’ultima lettera prima della partenza. È indirizzata a suo padre. Hanno lasciato la rada e sono a bordo per caricare da 2500 a 3000 sacchi di caffè. Édouard sa che a Parigi si vivono giorni emozionanti e spera di trovare al suo ritorno una buona repubblica, perché teme bene che Luigi Napoleone non sia affatto un buon repubblicano. Viaggerà al rientro con un amico di Monsieur R. (in nome non è precisato). Si chiama Guillemot, è l’incaricato d’affari di Montevideo che sta rientrando in Francia. «Paul, se ben ricordi voleva darmi una lettera di raccomandazione per lui». Le raccomandazioni non sono, dunque, una invenzione moderna. La raccolta delle lettere finisce qui, evidentemente perché al ritorno non ci sono mezzi più veloci se non navi che viaggiano con la stessa andatura del Le Havre-et-Guadalupe. È salpato dal porto francese il 9 dicembre del 1848 e vi fa ritorno il 13 giugno dell’anno successivo. Sei mesi di esperienze descritte con vivezza di particolari che mettono in luce come per Édouard sia importante descrivere quanto vede intorno a lui. Lo ha fatto a parole, ma si accinge a farlo con colori e pennello.

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