Papà, desidero iscrivermi a Parigi per passare il mio esame alla Scuola Navale

Claude Monet, Porto di Le Havre, 1874

Il giovane Manet raccontato dagli amici

Brani tratti da Sergio Bertolami, Manet et manebit, 2017, Experiences

All’altro capo del mondo

Il viaggio al di là dell’Oceano è testimoniato dalle lettere che Édouard spedisce alla sua famiglia, approfittando degli scali. Sono espresse parole affettuose e rispettose, che permettono di percepire il carattere schietto e determinato del giovane Manet. La partenza avverrà dal porto di Le Havre. Lo accompagna suo padre. La nave attraccata attende il vento favorevole, nel frattempo gli allievi compiono le formalità richieste per essere inseriti nei ruoli d’equipaggio. Il vascello conta 26 uomini a bordo, di cui un cuoco e un “maître d’hôtel nègre”; si riuniranno in un salone “très joli” dove c’è perfino un pianoforte. Il letto è un’amaca e occorrerà qualche giorno perché Édouard ci si abitui. Il cibo, per contro, non lascia a desiderare: due piatti di carne e un dessert ad ogni pasto. Al fratello, Edouard descrive la sua bella divisa: cappello cerato, camicia con mollettone, giacca e pantalone di tela. Quando scendono a terra, i giovani allievi si danno una certa aria militare. Si pavoneggiano di fronte al centinaio di persone che sul molo sostano a guardare la nave. L’orario di addestramento prevede esercitazioni pratiche, ma anche studio teorico. Alle 7,30 del mattino sono già in movimento, alle 9 colazione, alle 10 sono in classe fino a mezzogiorno, poi pranzo e dalle 2 ancora in classe; alle 16 si cena, poi dalle 18 ancora studio fino alle 20. Quindi a letto, perché per le dieci ore che seguono nessuna luce a bordo può restare accesa. A sua madre comunica che, una volta completati i preparativi per la partenza, il vascello salperà sabato mattina alle nove e che suo padre potrà salire a bordo per gli ultimi saluti, poi aggiunge: «Sono rimasto molto soddisfatto di averlo qui fino alla partenza, è stato così buono con me durante il nostro soggiorno». Sembra proprio che ogni acredine familiare si sia ricomposta.

Édouard Manet – Madame Auguste Manet (sua mamma)

Qualche giorno di silenzio. Venerdì 22 dicembre confessa a sua madre che avrebbe voluto scrivere, ma il mal di mare, il cattivo tempo, glielo hanno impedito. Alla partenza da Le Havre, salutata da salve di cannone, la nave ha preso il largo. Superato il faro di Harfleur, da quel momento non hanno più visto terra. Neanche tre o quattro ore dopo già soffriva di mal di mare. Le acque agitate impressionano il ragazzo: «Non si ha idea di queste montagne d’acqua che vi circondano e che coprono tutto d’un colpo il vascello per intero, di questo vento che fa fischiare il cordame e che talvolta è talmente forte che si è obbligati a serrare tutte le vele». Ammette che in quei momenti si rammarica delle dolcezze della casa paterna. Gli sembra che siano passati mesi e non solo pochi giorni da quando si è imbarcato. E da allora, cielo e acqua, acqua e cielo. «Che vita monotona questa vita da marinaio!». Qualche volta, durante il pranzo, cadono per un sussulto del vascello gli uni sugli altri e i piatti serviti in tavola con loro. Quando avranno il bel tempo? Tra il 15 e il 16 dicembre il vento cambia; la nave vira di bordo e finalmente prendono la strada giusta. Tempo magnifico. Montano letti ed amache sul ponte per far prendere aria: «Ne avevamo bisogno». Le persone che lo circondano sono veramente incredibili: sempre contente e gaie, malgrado la durezza del mestiere. Lavorano notte e giorno.
Domenica 17 è giorno festivo: «A sera a cena abbiamo avuto dello champagne: una bottiglia per sei. Il comandante è venuto a bere con noi. Si è bevuto alla sua salute e a quella dello stato maggiore. Siamo tutti incantati di monsieur Besson; è sempre lucido e dolcissimo con noi, anche se sa perfettamente guardare alla sua dignità e sa farsi perfettamente rispettare». Cantano canzonette, perché c’è anche qualche musicista a bordo.

Isola del Re nel mare di Guascogna

Il mare torna grosso all’altezza del golfo di Guascogna. Tutte le volte che è possibile il comandante si diverte a tirare sugli uccelli di mare; ai ragazzi non è permesso che guardare. Quando il tempo migliora cominciano lo studio in classe, ma il forte rullio non permette loro di scrivere comodamente. L’alternativa, quando non si può lavorare in classe per il mare agitato, è rimanere tutta la giornata sul ponte senza far niente. Ora, sono all’altezza delle coste spagnole; procedono di filato e tra sei o sette giorni saranno a Madera. Allora sarà inviata a terra una scialuppa per spedire le lettere e ritirare la posta in arrivo. «Forse – scrive ansioso – apprenderemo il nome del nostro presidente della repubblica; è possibile che siate agitatissimi in questo momento a Parigi, purché non si abbia la guerra civile, sarebbe terribile. Se non apprenderemo nulla a Madera, non lo apprenderemo che fra un mese e mezzo; non arriveremo prima a Rio de Janeiro».

Edouard Manet, schizzo dell’Isola di Porto Santo (Madera), 1848. Schizzo inviato alla madre per lettera, durante il viaggio per Rio de Janeiro.

Ancora cattivo tempo. Il pane è razionato e sono distribuiti dei biscotti persino a pranzo e a cena. Sono tutti furenti. La pioggia a bordo è ancora più noiosa che a terra. Le giornate che trascorrono senza far niente pesano più che lavorare: «Non siamo potuti entrare in classe di matematica questa mattina; il professore è ancora malato di mal di mare». Al contrario, quando c’è attività didattica, scrive entusiasta che le lezioni teoriche sono veramente bene organizzate: studiano matematica, letteratura, inglese. Appena il tempo lo permette si svolgono addestramenti pratici, altrimenti sono obbligati a restare al loro posto. Cosa fare se non fumare, giocare al domino o a dama; e che questo accada ripetutamente durante le traversate lo dimostra il fatto che i giochi sono forniti dagli stessi istitutori. Un bastimento in vista, gli affideranno le loro lettere, per cui è meglio affrettarsi a concludere: «Addio mamma cara, ti abbraccio così come a papà, nonna, i miei fratelli, Giulio. Riferisci molte cose da parte mia a Paul, a Edmond, alla cameriera e a Sophie. Ravviva il ricordo di me a i miei amici. Tuo figlio rispettoso. Edouard Manet».

Gâteaux de Savoie

Il 24 dicembre si festeggia la vigilia di Natale. Dal comandante ricevono in dono sei bottiglie di champagne, quattro “gâteaux de Savoie” – una torta particolarmente gustosa – due pacchetti di sigari Avana e cioccolato. Danno fondo al repertorio di canzoni e vanno a coricarsi alle quattro del mattino. La settimana trascorre monotona. Da 18 giorni non vedono terra e tutti sperano di veder presto Madera. Tra mezzanotte e l’una di sabato 30 dicembre, il marinaio di guardia si mette a gridare “terra” e tutti si riversano sul ponte per scorgere al buio della notte la rada di Madera. Alle quattro del mattino, prende carta e penna per descrivere la scena dell’avvistamento a sua madre. Nel post scriptum Édouard annota in modo convinto: «Desidero che papa mi faccia iscrivere à Parigi per passarvi il mio esame». Nella sera dello stesso sabato 30 torna a scrivere una nuova lettera; l’isola assicura la possibilità di utilizzare il servizio postale. Madera è montuosa, abitata soltanto da pescatori. L’esperienza da marinaio non gli fa dimenticare la passione d’artista: «Ho disegnato l’aspetto dell’isola. Il mio disegno vi darà un’idea precisa». Poi con gusto racconta la cena.

Vista della città di Santa Cruz de Tenerife, Isole Canarie

Lunedì 1 gennaio 1849, la nave viaggia alla volta di Santa-Cruz de Tenerife. «È da molto lontano, caro papà e cara mamma, che vi auguro un buon anno, e vi abbraccio molto teneramente». Alle sei del mattino i marinai sono scesi sottocoperta per svegliare i ragazzi: hanno approntato un eccellente pâté di focena per colazione. Poi tutti a poppa per augurare buon anno al comandante che ricambia offrendo un bicchierino di madera. La giornata passa in allegria giocando discutibilmente a tentare di tagliare, ad occhi bendati e armati di una sciabola, la testa di un’oca legata ad una trave. Sabato 6 gennaio descrive a suo padre Santa Cruz con le case bianche rischiarate del sole. Ripreso il viaggio, verso le quattro del pomeriggio hanno avvistato una balena che si è messa a giocare a 4 o 5 metri dal naviglio. «Che animale mostruoso!». Domenica 7 è giorno di manovre e Édouard annota che monsieur Besson spera di fare di loro dei buoni gabbieri, cioè degli agili marinai abili ad arrampicarsi sui pennoni degli alberi per la manovra delle vele. Lunedì 8 passano il tropico del Cancro. Incontrano due navi inglesi e due piccole altre imbarcazioni, ma nessuna è francese così da poter alleviare le proprie inquietudini politiche sulle ore di tensione che si passano a Parigi; non rimane che abbandonarsi a delle congetture in relazione alla nomina di questo o quel presidente.

Rio de Janeiro nel XIX secolo

Calma piatta; commenta con ironia che la Senna non è sicuramente più calma. Viene messo un canotto in mare e ci salgono a turno. Si approfitta dell’immobilità per fare manovre. Ognuno ci mette l’amor proprio per svolgerle al meglio. I giorni passano ed Édouard annota la velocità, i tipi di pesci che scorge, la vita di bordo. Il 30 di gennaio torna a scrivere a suo padre: «Vi ricordo, caro papà, il desiderio che ho di passare i miei esami a Parigi, sarebbe la cosa migliore; non vorrei passarli in provincia; tutti i miei compagni dovrebbero, del resto, fare lo stesso». Il 4 febbraio sono davanti a Rio de Janeiro, impazienti di entrare in porto. Il 5 febbraio scrive entusiasta: «Chère Maman, abbiamo infine gettato l’ancora nella rada di Rio, dopo due mesi di mare e di gran cattivo tempo». Si avviano le pratiche sanitarie, le formalità di rito sono esplicate dagli ufficiali del porto e della dogana che lasciano i loro uomini a bordo per soprintendere allo sbarco delle merci. Quando sarà consentito scendere a terra, fra i maggiori desideri sarebbe trovare una lettera della famiglia, bere acqua fresca e non mangiare più carne salata.

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