Cinquant’anni fa, in un modesto motel di Albuquerque, due giovani appassionati di computer posero le basi di quella che sarebbe diventata una delle aziende più influenti della storia dell’informatica. Era il 4 aprile 1975 quando Bill Gates e Paul Allen, allora poco più che ventenni, firmarono il loro primo contratto con la MITS per fornire un linguaggio di programmazione destinato all’Altair 8800, un rudimentale microcomputer appena arrivato sul mercato.
Quel progetto, nato tra pile di manuali e notti insonni, fu l’inizio di Microsoft. All’epoca, i computer erano oggetti ingombranti e costosi, confinati a università e grandi aziende. L’idea che ogni casa potesse averne uno sembrava pura fantascienza. Ma Gates aveva una convinzione: un giorno, ogni scrivania e ogni famiglia avrebbe avuto il proprio computer. Una visione che, a distanza di mezzo secolo, si è concretizzata: secondo le stime attuali, nel mondo circolano oltre 3 miliardi di computer, la maggior parte con sistema operativo Windows.
Nel giro di pochi anni, Microsoft consolidò la sua posizione con l’MS-DOS e, soprattutto, con Windows, l’interfaccia grafica che rese i computer più accessibili al grande pubblico. Negli anni ’90, la società dominava incontrastata: software come Word ed Excel divennero standard globali e Windows 95 fu un successo planetario. Ma l’egemonia attirò anche le attenzioni delle autorità antitrust americane, che accusarono Microsoft di soffocare la concorrenza.
Dopo il boom degli anni ’90, Microsoft visse un periodo di transizione. Steve Ballmer, subentrato a Gates nel 2000, puntò a rafforzare l’azienda su più fronti: dalla nascita della console Xbox, alla diffusione di software aziendali, fino all’acquisto di Skype. Ma la vera rivoluzione stava avvenendo altrove.
Apple lanciava l’iPhone, Google Android, e il mondo si spostava rapidamente verso il mobile. Microsoft, troppo legata ai propri modelli tradizionali, reagì con lentezza. I tentativi di entrare nel mercato degli smartphone arrivarono tardi e senza successo duraturo. La società, pur solida, sembrava aver perso lo slancio innovativo dei suoi primi anni.
Il vero cambio di passo arrivò nel 2014 con l’ascesa di Satya Nadella alla guida dell’azienda. Ingegnere di formazione e manager pragmatico, Nadella mise al centro della strategia il cloud computing, l’intelligenza artificiale e la cultura dell’apertura.
Microsoft smise di considerare Linux un nemico, rese disponibili i propri software su iOS e Android, e investì pesantemente in Azure, la sua piattaforma cloud, oggi seconda solo ad Amazon. L’acquisizione di GitHub, il successo di Teams e, più recentemente, la partnership strategica con OpenAI hanno riportato Microsoft al centro della scena. Nel 2023, la capitalizzazione ha toccato i 3.000 miliardi di dollari, e la società è tornata ad essere considerata uno dei motori dell’innovazione globale.
Cinquant’anni dopo quel primo contratto, Microsoft è ben più di un produttore di software. È una forza trainante nella trasformazione digitale del pianeta, protagonista nell’intelligenza artificiale, nella produttività, nell’educazione e nei servizi cloud. Ha vissuto alti e bassi, è stata idolatrata e criticata, ha vinto e perso battaglie cruciali, ma ha saputo restare rilevante in un settore dove l’obsolescenza è sempre dietro l’angolo.
Se i prossimi cinquant’anni saranno altrettanto turbolenti e rivoluzionari, Microsoft avrà bisogno di un nuovo tipo di visione. Ma la storia insegna che, a Redmond, le idee per reinventarsi non mancano mai.
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Con l’arrivo della primavera, le gite scolastiche in Europa diventano un’occasione entusiasmante per esplorare città meravigliose come Parigi, Londra, Berlino, Amsterdam, Praga, Vienna, Budapest, Atene e Lisbona. Tra queste mete spicca Barcellona, il vibrante capoluogo della Catalogna, situato sul mar Mediterraneo e circondato dai Pirenei. Barcellona è stata la ventesima città più visitata nel mondo nel 2011 da turisti internazionali, e la 5ª in Europa dopo Londra, Parigi, Istanbul e Roma, attirando ben 5,5 milioni di visitatori! Passeggiare lungo la famosa strada pedonale Las Ramblas è un’esperienza indimenticabile che contribuisce alla sua popolarità.
La città è nota per essere la culla del genio architettonico Antoni Gaudí, le cui opere straordinarie attraggono ogni anno turisti da tutto il mondo. La sua creazione più iconica, la Sagrada Família, è un imponente simbolo di Barcellona. Immagina visitare questa maestosa chiesa che è in costruzione dal 1882 e prevede la sua ultimazione intorno al 2026! Finanziata solo dalle offerte e dai biglietti dei visitatori, la Sagrada Família è una testimonianza vivente della dedizione e della fede.
Le meraviglie di Gaudí non finiscono qui: si può esplorare il colorato Parco Güell, stupirsi davanti alla Casa Milà chiamata “La Pedrera”, ammirare la creatività di Casa Batlló, visitare Palazzo Güell e scoprire Casa Vicens. Ogni angolo di Barcellona invita a vivere un’avventura unica e affascinante!
Nella Barcellona di fine Ottocento, infatti, Antoni Gaudí i Cornet emerge come una figura anomala e rivoluzionaria. In un’epoca in cui la Spagna appare culturalmente marginale rispetto al fervore europeo, Gaudí anticipa le tendenze dell’Art Nouveau con un linguaggio personale che intreccia misticismo, nazionalismo catalano e una libertà formale senza precedenti.
Nato nel 1852, Gaudí si forma in un contesto dove il revival gotico è carico di un’identità culturale molto sentita. Per lui l’anno decisivo è il 1888, quando Gaudí partecipa all’Esposizione Universale di Barcellona. Qui viene notato dall’industriale Eusebi Güell, che diventerà il suo più importante mecenate. Il sodalizio tra i due darà vita a una serie di quelle opere emblematiche che lo hanno reso famoso.
Tra il 1903 e il 1914, Gaudí lavora al Parc Güell, originariamente concepito come complesso residenziale ispirato all’ideale della città-giardino. Il progetto, trasformato in parco pubblico, rappresenta una delle espressioni più compiute della sua fantasia costruttiva: padiglioni dai tetti frastagliati ricoperti di ceramiche policrome, portici sorretti da colonne inclinate rivestite in pietra grezza, strutture che si fondono con il paesaggio in un gioco continuo tra artificio e natura.
Ma è nella Sagrada Família che Gaudí incarna pienamente la sua visione spirituale e architettonica. Iniziato nel 1883, il progetto lo assorbe completamente a partire dal 1914. Gaudí abbandona ogni altro incarico, si trasferisce nel cantiere e arriva a chiedere elemosina per finanziare i lavori. Le forme gotiche vengono dilatate in strutture ardite, ai limiti della statica, mentre le superfici curve e policrome celebrano una religiosità popolare e intensa. La basilica resta incompiuta alla sua morte, ma la Facciata della Natività e le torri laterali testimoniano la potenza visionaria del suo disegno originario.
L’ultima immagine di Gaudí è tragica e simbolica. Il 7 giugno 1926 viene investito da un tram mentre cammina verso la Sagrada Família. A causa dell’aspetto trasandato, viene scambiato per un senzatetto e portato all’ospedale dei poveri, dove morirà tre giorni dopo, all’età di 73 anni. Rifiuta di essere trasferito altrove: “Il mio posto è qui, tra i poveri”, dirà. Il genio che aveva trasformato la pietra in preghiera si congeda così, nella stessa umiltà con cui aveva vissuto.
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Ancora oggi, a oltre 40 anni dalla sua morte, vengono scoperti nuovi oggetti sconosciuti del suo design. Clarice Cliff, considerata la più grande artista nel campo della ceramica, continua a stupire oggi come ieri, grazie all’enorme varietà dei suoi elaborati: disegni astratti e geometrici, paesaggi e raffigurazioni floreali
“The Color Room” è un Biopic britannico della regista australiana Claire McCarthy, uscito nelle sale cinematografiche nel 2021 . L’azione si svolge negli anni Venti e Trenta ed è basata sulla vita della ceramista e icona femminista Clarice Cliff. La giovane, appartenente alla classe operaia, vive con la madre vedova Ann e la sorella minore Dot Cliff. Lavora in una fabbrica di ceramiche nelle Midlands britanniche. Piena di idee per ottenere nuove forme e colori, si muove da una fabbrica all’altra del gruppo imprenditoriale, dimentica quasi del maschilismo che la circonda. È tuttavia in grado di impressionare l’eccentrico proprietario, Arthur Colley Austin Shorter, che rimane colpito dalle sue idee e le appoggia apertamente, al contrario del fratello più tradizionalista. Shorter sostiene la linea Art Déco denominata “Bizarre” proposta da Cliff. Così, nel mezzo della Grande Depressione economica, le idee innovative e audaci della giovane designer riusciranno ad assicurare la sopravvivenza della fabbrica stessa, aprendo la strada a Clarice Cliff verso una carriera come una delle più grandi designer moderne.
Il primo timbro sul retro stampato “Bizarre” utilizzato sugli articoli
Alcuni critici d’arte descrivono le ceramiche di Clarice Cliff come l’epitome dello stile Art Déco britannico. Clarice Cliff è considerata, infatti, una delle ceramiste inglesi più prolifiche e importanti del XX secolo grazie alle sue innovazioni nel design, nello stile e nel colore dei vasi da lei disegnati e in seguito anche prodotti.
Primo motivo “Original Bizarre” su una brocca a forma di Atene
Lo stile Art Déco da lei adottato presenta linee rette e forme geometriche, segni distintivi che caratterizzeranno le sue ideazioni. “Bizarre” era il nome della prima serie di piatti da lei concepiti. I piatti erano decorati con colori accesi, un po’ grezzi e con motivi in parte figurativi e in parte astratti. Il loro prezzo a quel tempo era relativamente basso, per questo piaceva soprattutto ad un pubblico femminile e il loro successo commerciale fu immediato ed esplosivo.
Modello croco
Dopo il successo, Clarice Cliff ha aggiunto centinaia di altri esempi. Nel 1928 concepì un dipinto a mano con semplici pennellate di tre crochi in arancione, blu e viola con foglie verdi tra di loro. Il modello a fiori incentrato su bulbi di crochi olandesi ebbe un enorme successo e diventò il suo simbolo di design. Una squadra di 20 pittori venne impegnata solo nella decorazione dei crochi. La sua carriera decollò.
Particolare dei crochi, 1928
Cliff e il suo team producevano ceramiche per uso domestico: tazze e piatti, brocche, teiere, tutto in stile Art Déco. L’artista non si accontentò di dipingere-decorare, ma passò alla progettazione di forme innovative degli utensili e con molto talento riuscì a trasferire le caratteristiche dello stile geometrico-astratto, nonché le caratteristiche del cubismo nel campo degli utensili da cucina: manici triangolari per tazze, forma cono-cono per teiere e saliere, brocche a più livelli, brocche e piatti a forma poligonale.
Nel 1929 la sua squadra contava 70 dipendenti che l’aiutarono a portare il modernismo nell’ambiente cucina. I suoi elementi di punta erano l’uso della ceramica e i colori a smalto. I nomi delle serie danno l’idea dei suoi orizzonti ideali: alba, cottage di campagna, casa estiva, ombrelli, farfalla, hotel, campanelli eolici, raggio di sole, giorno e notte.
Modello ‘Autunno Rosso’ 1930
Verso la metà degli anni ’30, i gusti cambiarono. La serie My Garden realizzata a partire dal 1934 ha aperto la strada, con piccoli fiori modellati come manico o base, a forme più arrotondate. Queste stoviglie furono interamente dipinte con colori vivaci – il corpo dei piatti ricoperto da sottili pennellate di colore – “Verdant” è verde, “Sunrise” giallo e così via. La gamma comprende vasi, ciotole, brocche, una scatola di biscotti molto apprezzata come singolo articolo da regalo. La serie fu prodotta a colori più tenui fino all’inizio della guerra nel 1939.
Altre forme modellate includono la “Raffia del 1937 basata sul tradizionale vimini dei nativi americani, decorata in uno stile simile a loro con piccoli blocchi di colore. Più popolari sono gli articoli della serie Harwest, le brocche e le ciotole con mais e frutta. Dopo la guerra questa linea fu ampiamente commercializzata in Nord America, ma prodotta ancora in Inghilterra.
Nel 1940, dopo la morte della moglie Shorter sposò Cliff e insieme vissero nella sua casa di Chetwynd House Northwood Lane a Clayton, Staffordshire. Una casa Arts and Crafts progettata nel 1899 fra le prime commissioni degli architetti britannici Richard Barry Parker e Raymond Unwin.
Motivo “Ravel” di Clarice su caffettiera di forma conica, zucchero e panna, 1930
Durante la Seconda guerra mondiale, era consentita dalle norme di guerra solo la semplice ceramica bianca (per oggetti di utilità), quindi Cliff aiutò a gestire la fabbricazione, ma non fu impegnata nel lavoro di progettazioneb e decorazione. Concentrò il suo talento creativo nel giardinaggio dell’enorme giardino di 4 acri (1,6 ettari) a Chetwynd House, diventato la sua passione condivisa con Shorter.
Dopo la guerra, sebbene a volte Cliff fosse nostalgica per gli anni “strani”, come evidenziato nelle lettere personali agli amici, in modo realista accettò che il gusto commerciale fosse mutato verso articoli tradizionalistici. Per Clarice Cliff quei folli giorni degli anni Trenta non si sarebbero mai più riproposti.
Di recente una mostra e il primo libro “Clarice Cliff” di Peter Wentworth-Sheilds e Kay Johnson, uscito nel 1976, hanno segnato l’inizio di un rinnovato interesse per il lavoro dell’artista ceramista, che continua ad essere apprezzato dai collezionisti di ceramiche Art Déco.
Nella filosofia post-kantiana, si sviluppa l’idealismo tedesco. Il primo esponente di questa corrente fu Johann Gottlieb Fichte, il quale per modernizzare il pensiero kantiano sintetizzò ragion pura e ragion pratica, avendo origine dall’identico “Io”. Se Kant sosteneva che il soggetto plasmava l’esperienza, Fichte gli contrappone la creazione dell’oggetto da parte dell’esperienza, anche se attuata dall’inconscio, salvando uno dei punti realistici della filosofia kantiana (detta criticismo).
Sempre rimanendo nell’idealismo tedesco, a Fichte seguì Schelling. Egli propose l’oggetto (il non-io), posto dall’io (la natura). Ambedue sostenevano un soggetto e oggetto, che rimanevano distinti ed uniti, allo stesso tempo, a livello puramente intuitivo. Schelling sintetizzò, così, l’idealismo critico di Fichte col razionalismo di Spinoza.
Fichte e Schelling velocemente lasciarono il palcoscenico, sostituiti da Hegel (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, 1770-1831). Questo, rielaborando il pensiero circolare di Cartesio, propose un soggetto e oggetto non più uniti ma mediati, sostenendo un’interpretazione dove il divenire logico della Storia, generato dall’Assoluto, serve a rendere ragione dello stesso. Nel suo ragionamento Hegel va oltre la logica sequenziale di Aristotele affermando la supremazia della razionalità sull’intuizione (“ciò che è reale è razionale”), dove ogni principio ha già in sé il suo contrario. Secondo il pensiero hegeliano la filosofia si conclude nella dialettica stessa, che la motiva. Si supera quindi ogni rapporto con una dimensione assoluta dove si ha un azzeramento del pensiero filosofico.
L’eredità di Hegel venne, successivamente, reinterpretata da Feuerbach e Karl Marx (1818-1883) proponendo, quest’ultimo, il suo materialismo dialettico. Secondo Marx, infatti, la teoria hegeliana è sostanzialmente materialista. Per Marx, quindi, l’Assoluto coincide con la Storia. Così come i due principi, la ragione e la realtà, per Marx sono in contrapposizione con la struttura economica e la sovrastruttura culturale. Struttura e sovrastruttura, per il momento differenziate, troveranno alla fine della Storia la loro unità. Dalla teoria hegeliana, Marx rielabora la sua filosofia sulla prassi, da cui in seguito scaturirà il suo impegno politico e sociale, che svilupperà insieme a Friedrich Engels.
Tra gli altri filosofi del XIX secolo, da annotare: John Stuart Mill (esponente britannico) e Ralph Waldo Emerson (del trascendentalismo americano). Quindi, Søren Kierkegaard (1813-1855), che fu fondatore dell’esistenzialismo, che ebbe un atteggiamento critico verso la teoria hegeliana, sostenendo che nella storia operino principi che non si possono conciliare, né unire o mediare dalla ragione. Infine, Friedrich Nietzsche (1844-1900), portatore del superuomo, teoria che ebbe conseguenze nel successivo Novecento. Il filosofo criticò aspramente i contenuti portati dalla religione e dalla metafisica europea, a suo avviso tendenzialmente nichilisti.
Søren Kierkegaard e Friedrich Nietzsche gettarono le fondamenta di quello che sarà l’esistenzialismo, movimento proprio del Novecento. Se la filosofia dell’Ottocento aveva perso la strada, inseguendo universi metafisici, Kierkegaard cercò di ricondurla sulla strada di Socrate, e cioè soggettività, fede ed impegno, per tornare a ragionare della condizione umana, unica per tutti. Il filosofo rilevava gravi mancanze nel suo tempo, caratterizzato “dal disprezzo assoluto nei confronti del singolo uomo”. Anche Nietzsche, discutendo dei valori morali del sua epoca, fu molto critico per quelli tradizionali. Nietzsche, infatti, rilevava una moralità signore-servo, cioè, la differenza tra la moralità degli “schiavi” ed una più consona per i loro padroni.
Nel secolo successivo (XX) si creò una divergenza di vedute tra pensiero europeo (con una grande varietà di tendenze e correnti, dove prevarrà un pensiero ontologico e gnoseologico) e pensiero anglosassone (con un rapporto più utilitaristico, che condurrà alla filosofia analitica). Il dibattito che ne scaturì nel continente (inizio secolo) fu rielaborato e discusso, comunque, nella fucina di idee e proposte rappresentata dal Circolo di Vienna. Questo fu fondato da Moritz Schlick, aperto nel 1922 e chiuso nel 1936, ad opera del nazismo. Al Circolo parteciparono filosofi, scienziati, psicologi e quanto di meglio nel mondo della cultura di allora. Ebbe una grande importanza sul pensiero mondiale, fino alla sua costretta chiusura.
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Cinema, televisione, produzione multimediale, hanno nel fenachistoscopio il loro antenato. Chi ha già sentito questo strano nome vince il piacere di potere raccontare la nascita di un oggetto cult per riprodurre immagini in movimento. Il fenachistoscopio è forse il primo dispositivo col quale visualizzare immagini non statiche ma animate. È stato ideato grazie alla ricerca incentrata sulle illusioni ottiche e presentato al pubblico come una vera e propria scoperta scientifica.
Come si può vedere nei disegni d’epoca, il fenachistoscopio era costituito da un manico che sosteneva un disco rotante in cartone. A prima vista poteva essere scambiato per un ventaglio rotondo. Il disco, tuttavia era rotante, e i disegni, riproducenti le fasi del movimento, erano disposti in cerchio. Tra i disegni vi erano strette fessure. Il disco era tenuto davanti a uno specchio in modo che i disegni potessero essere riflessi. Il lato del disco rivolto verso l’osservatore era nero. Costui guardava lo specchio attraverso le fessure, osservando i disegni mentre faceva ruotare il disco. La sequenza di immagini gli appariva in movimento.
Una donna e un bambino guardano le immagini in movimento in uno specchio. Illustrazione riportata sulla confezione di un disco stroboscopico Magic Disk – Disques Magiques di E. Schule, c.1833
Per illusione ottica le fessure fungono da otturatore lasciando apparire l’immagine riflessa nello specchio solo per un tempo molto breve. L’occhio vede quindi un’unica immagine, che sembra essere in movimento quando il disco ruota ad una velocità sufficiente.
Ben presto il dispositivo ha guadagnato la fama di un nuovo giocattolo di intrattenimento. Così, quando la novità svanì, fu accantonato come un giocattolo per bambini, ma trovò ancora impiego come strumento dimostrativo da parte di alcuni scienziati. Il quotidiano Le Figaro presentò il dispositivo a giugno del 1833, spiegando l’invenzione e quello strano termine che derivava dalle parole greche phénakistiscos, dal verbo “ingannare” e da skopein, che significa “esaminare” o “guardare”. Quindi il significato che si intendeva dare alla parola “fenachistoscopio” era qualcosa che ricordava un “inganno dello sguardo”, “inganno dell’occhio” o, se vogliamo dirlo con parole a noi più abituali, “illusione ottica”.
L’uso del fenachistoscopio a specchio, illustrazione del 1884, da: Gaston Tissandier, Les récréations scientifiques, Paris, 1884
L’inventore Joseph Plateau non denominò affatto il dispositivo quando fu introdotto sul mercato intorno a gennaio 1833, ma usò il nome quell’anno stesso in un articolo che faceva riferimento a un’altra versione messa in vendita. Il termine, invece, secondo alcuni fu usato per la prima volta dalla società francese Alphonse Giroux et Compagnie in una domanda di licenza di esportazione il 29 maggio 1833. Con questo nome, infatti, compare sulle loro confezioni.
Joseph Antoine Ferdinand Plateau
Abbiamo attribuito l’invenzione al fisico belga Joseph Plateau, ma come spesso accade, il fenachistoscopio fu inventato quasi contemporaneamente tra novembre e dicembre del 1832 anche dal professore austriaco di geometria pratica Simon Stampfer. Il vantaggio di Plateau fu l’avere pubblicato la sua invenzione il 21 gennaio 1833 in una lettera alla Correspondance Mathématique et Physique. L’articolo si intitolava Sur un nouveau genere d’illusions d’optique (Su una nuova forma di illusioni ottiche) ma senza dare un nome al suo dispositivo. Consisteva in un disco che rappresentava la sagoma di un ballerino mentre piroetta, ma Plateau suggeriva che sarebbe stato più efficace se fosse stato ombreggiato e dipinto a colori.
Anche Stampfer aveva pensato di collocare la sequenza di immagini su un disco, ma proponeva anche una alternativa su di un cilindro o, nel caso di un gran numero di immagini, su carta o tessuto tesi in modo da girare attorno a due bobine parallele. Tutte soluzioni che saranno sviluppate in seguito da altri inventori e che daranno origine a prodotti similari.
Simon Stampfer
Gli editori Trentsensky & Vieweg produssero la prima edizione delle Stroboscopische Scheiben del professor Stampfer sul finire di febbraio 1833, ma probabilmente aspettarono che il Privilegium (cioè il brevetto rilasciato dalle autorità austriache fosse ufficiale il 7 maggio 1833). Il problema fu che nessuno era preparato ad un “successo immediato, ne conseguì che gli stock dei prodotti fabbricati andarono esauriti in quattro settimane, lasciandoli impossibilitati a spedire gli ordini d’acquisto. Dal canto suo, Joseph Plateau non ha mai brevettato la propria invenzione e probabilmente non era neppure molto interessato a sfruttarla. Tuttavia, ha progettato sei versioni differenti dei dischi per la ditta Ackermann & Co. di Londra. Questi furono introdotti al pubblico nel luglio 1833 coi nomi di Fantasmascopi o Fantascopi. In verità, Il fenachistoscopio divenne molto popolare e presto ci furono altri editori in Europa che pubblicarono dischi con vari nomi differenti.
Collezione cinematografica Piasio, Witte’s Moviescope, zootropio (18 cm), USA, intorno al 1920/5. Questo zootropio può anche essere collocato su un giradischi.
Il fenachistoscopio è stato popolare per solo due anni, fino all’invenzione dello zootropio da parte di William George Horner. Quest’ultimo congegno presentava due vantaggi: non richiedeva uno specchio e, cosa più importante, poteva essere visto da più di una persona alla volta. Il cinema non era ancora nato, ma la strada era aperta.
L’illustrazione rappresenta il nuovo Boulevard du Temple, situato in Place de la République a Parigi, dove circolano numerosi carri trainati da cavalli, di fronte a un edificio Haussmann che ospita i Magasins Réunions – République (fonte Wikipedia)
Gran parte del fascino di Parigi lo abbiamo veduto all’apertura dei giochi olimpici, dove bellissimi palazzi pubblici e privati facevano da quinta scenografica al passaggio dei battelli durante la sfilata delle delegazioni. Molte (non tutte) di quelle meraviglie architettoniche si devono all’opera del barone Georges Eugène Haussmann, che dal 1852 al 1869, in qualità di prefetto del dipartimento della Senna, modificò completamente la città.
La storia di questa trasformazione è davvero affascinante. Immaginate Parigi a metà del 1800: una città ancora medievale, con vicoli stretti, edifici fatiscenti e un sistema fognario primitivo. Poi arrivò Haussmann, nominato prefetto della Senna da Napoleone III, con una sua visione rivoluzionaria. Armato di mappe e progetti (così è rappresentato nelle caricature dell’epoca), iniziò a tagliare e cucire Parigi come un sarto con un vestito. Le vecchie stradine tortuose furono sostituite da ampi boulevard che ancora oggi caratterizzano la città.
Non tutti, però, furono contenti, perché un gran numero di abitanti vennero sfrattati dalle proprie case demolite per far posto ai nuovi edifici eleganti e ai boulevard. Allora, forse vale soffermarci più da vicino su questa storia, seppure senza entrare troppo in dettaglio.
François Cogné (1876-1952), Monumento al barone Haussmann (particolare), all’angolo tra Boulevard Haussmann e Rue de Laborde a Parigi (fonte Wikipedia)
Napoleone III, imperatore dei francesi, incaricò Haussmann di progettare il rinnovamento di Parigi, motivato dalla rivolta del giugno 1848. L’obiettivo era facilitare la repressione di future ribellioni. L’idea era di sostituire le strette e tortuose strade con ampi viali, rendendo impossibile ai rivoltosi di erigere barricate. Questi viali avrebbero anche permesso rapidi movimenti delle truppe e il pronto spostamento dei pezzi d’artiglieria pesante trainati da cavalli. Senza contare che i cannoni avrebbero potuto sparare ad alzo zero. Questa fu la teoria che oggi chiameremmo “complottistica”, perché la versione dichiarata ufficialmente fu meno rumorosa degli spari di cannone.
Napoleone aveva potuto apprezzare come Londra stava risorgendo dopo l’incendio del 1666 che l’aveva distrutta seguendo principi innovativi d’igiene e di urbanistica. Anche Parigi aveva bisogno di luce, aria, acqua pulita e servizi igienici adeguati. Prima dell’intervento di Haussmann, il paesaggio urbano di Parigi risaliva in gran parte al tardo Medioevo. Le nuove stazioni ferroviarie, situate ai margini della città, erano scollegate tra loro e al resto della città si sviluppava solo attraverso un labirinto di strade e vicoli. Strade strette e inadatte al traffico moderno; gli edifici erano troppo vicini, le case piccole, umide e buie, e la situazione igienica era drammatica a causa della mancanza di fognature, acqua corrente e sistemi di depurazione. Inoltre, mancavano spazi pubblici, parchi e vegetazione accessibili al pubblico.
Per prima cosa Haussmann nominò quattro esperti che furono incaricati dei quattro servizi che costituivano la spina dorsale dell’operazione. Eugène Belgrand divenne responsabile delle questioni idriche e fognarie e Adolphe Alphand fu responsabile dei giardini e dei parchi. Jacques-Ignace Hittorff responsabile della progettazione locale di Place de l’Étoile. Infine, Victor Baltard fu nominato capo del dipartimento di Architettura e progettò Les Halles, mercato di vendita all’ingrosso di prodotti alimentari freschi, situato nel primo arrondissement, il cuore della capitale francese e dell’omonimo quartiere.
L’urbanizzazione della città dipendeva dalla demolizione e dalla distruzione di molte proprietà residenziali e quartieri tradizionali. L’immagine di Haussmann come “Artiste Démolisseur” sarebbe servita da ispirazione per una varietà di vignette satiriche e politiche durante il Secondo Impero, come la caricatura anonima mostrata qui.
Per realizzare la riqualificazione di Parigi, venne adottata una combinazione di piani e interventi mirati. La base del progetto consisteva nella costruzione di un sistema di ampi viali rettilinei e piazze, in parte tracciati abbattendo aree del tessuto urbano medievale ormai fatiscente e in parte come allargamenti o prolungamenti di strade già presenti. Un esempio sono i dodici viali che, disposti a forma di stella con l’Arco di Trionfo al centro della Place de l’Etoile, si estendono in senso orario da nord.
La zona periferica della città fu collegata al centro urbano attraverso nuove strade. Vennero riprogettate e costruite strade per migliorare l’accessibilità, e strade principali per il flusso del traffico. Nella rete vennero inserite strade diagonali e i viali così da vitalizzare la connettività urbana. La costruzione di nuove strade portò all’introduzione di nuove leggi sugli espropri, facilitando la demolizione degli edifici esistenti. Furono costruiti il teatro dell’opera e molti edifici pubblici, tutte opere che abbellirono le strade della capitale.
Oltre agli interventi sulla mobilità, Haussmann ha realizzato diversi progetti per migliorare la qualità della vita in città, come la creazione di un vasto sistema di parchi verdi, grandi e piccoli. Haussmann fece costruire il Bois de Boulogne e abbellì parchi più piccoli. Ha ridotto i giardini del Palazzo del Lussemburgo (Jardin du Luxembourg) per creare spazio per nuove strade. Furono inoltre installati un nuovo approvvigionamento idrico, un gigantesco sistema fognario, ponti, un canale sotterraneo da Avenue de la République a Boulevard Bourdon. La scarsa igiene fu affrontata migliorando il sistema fognario e la qualità dell’acqua fu permessa dalla costruzione di condutture e acquedotti.
Sotto il Secondo Impero la rue de Rivoli divenne una delle vie più alla moda di Parigi. Haussmann estese la strada in modo spettacolare e aprirono molti negozi di vestiti e profumi, alcuni dei quali sono rappresentati qui (fonte Wikipedia)
Per rendere tutto ciò possibile furono demoliti interi isolati di case. Il Boulevard de Sébastopol , la cui metà meridionale è ora Boulevard Saint-Michel, tagliò ad esempio un quartiere operaio. Le nuove costruzioni lungo i boulevard non lasciarono più spazio agli alloggi economici di un tempo e la popolazione operaia più povera dati gli affitti elevati delle nuove e moderne costruzioni dovette trasferirsi nelle banlieues, i sobborghi di Parigi.
Secondo alcune stime, l’opera del barone Haussmann cambiò Parigi del 60%: 18.000 case furono demolite tra il 1852 e il 1868. L’opera di Haussmann trovò consenziente soprattutto le classi abbienti, al contrario di una parte del popolo parigino, che ritenne gli interventi responsabili delle radici culturali e dei legami sociali. In sintesi, mentre l’opera di Haussmann trasformò Parigi in una città moderna e funzionale, che influenzò la trasformazione di altre capitali europee, le metodologie adottate e l’impatto sociale delle riforme generarono un dibattito acceso che continua ancora oggi.
Copertina di uno dei volumi di memorie scritti da Haussmann e stampati presso Victor Havard, 1890 (fonte Wikipedia)
Napoleone III era consapevole delle reazioni contrastanti della popolazione alle opere di Haussmann. Da un lato, egli vedeva il rinnovamento di Parigi come un passo necessario per modernizzare la città, migliorare le condizioni igieniche e facilitare il controllo militare e sociale. Credeva fermamente che questi cambiamenti avrebbero portato benefici a lungo termine, rendendo Parigi una capitale moderna e funzionale. Dal canto suo, Napoleone III pur consapevole delle critiche e del malcontento causati dalle demolizioni e dagli espropri sostenne Haussmann fino al 1870, quando le difficoltà finanziarie e le pressioni politiche portarono alla rimozione di Haussmann dal suo incarico.
Alcuni dei critici contemporanei di Haussmann rividero le loro opposizioni nel corso del tempo. Jules Simon, ardente repubblicano, era stato un feroce critico di Haussmann in parlamento, ma nel 1882 scrisse di Haussmann nel Gaulois parole di elogio: “Cercò di fare di Parigi una città magnifica, e ci riuscì completamente. Quando prese Parigi in mano ed espletò il suo mandato, rue Saint-Honoré e rue Saint-Antoine erano ancora le strade più grandi della città. Non avevamo altre passeggiate che i Grands Boulevards e le Tuileries; gli Champs-Élysées erano per la maggior parte del tempo una fogna; il Bois-de-Boulogne era al confine del mondo. In quei tempi lontani, ci mancavano acqua, mercati, luce, e sono passati solo trent’anni. Demolì quartieri, si potrebbe dire, città intere. Gridavano che avrebbe scatenato una peste; ci lasciò piangere e, al contrario, attraverso il suo intelligente sventramento dei vecchi quartieri, ci diede aria, salute e vita. Qui creò una strada; lì creò un viale o un boulevard; qui una Place, una Square; una Promenade. Dal nulla fece gli Champs-Élysées, il Bois de Boulogne, il Bois de Vincennes. E introdusse nella sua bella capitale alberi e fiori, e la popolò di statue.”
Una delle opere perdute scoperte nella Biblioteca universitaria dell’AMU con annotazioni dei fratelli Grimm – Adam Mickiewicz University
Una recente scoperta in una biblioteca polacca di 27 libri, che si pensavano perduti, fa luce sull’ampiezza del lavoro dei due studiosi tedeschi
Jacob Ludwig Carl Grimm e Wilhelm Carl Grimm, meglio conosciuti come i fratelli Grimm, sono celebri per aver raccolto e trasformato centinaia di storie orali in racconti scritti duraturi. Tra le loro opere più famose troviamo “Cenerentola”, “Cappuccetto Rosso” e “Raperonzolo”. La loro raccolta di racconti, “Kinder-und Hausmärchen” (Racconti per bambini e famiglie), trasmette semplici lezioni morali che risuonano universalmente, rendendole accessibili a tutti.
Jacob e Wilhelm, i più grandi di sei, nacquero nel 1785 e nel 1786. Erano accademici tedeschi che iniziarono la loro carriera scrivendo canzoni popolari e storie per i loro amici
Secondo Jack Zipes del National Endowment for the Humanities, i Grimm credevano che le storie e la loro morale emanassero naturalmente dal popolo tedesco attraverso la tradizione orale. Volevano preservare queste storie prima che andassero perdute per sempre. Tuttavia, i fratelli Grimm erano più che semplici folkloristi; erano anche linguisti che hanno contribuito significativamente allo studio della letteratura classica tedesca e della lingua tedesca. La coppia iniziò a lavorare sul “Deutsche Wörterbuch”, considerato oggi il dizionario tedesco più esteso, con 32 volumi, oltre 331.000 voci e circa 4.000 fonti citate.
Per facilitare la loro ricerca sul folklore e la linguistica, i fratelli Grimm consultavano la loro biblioteca privata di 8.000 libri. Oggi, la maggior parte di questi libri si trova in una biblioteca a Berlino, trasferiti lì dal figlio di Wilhelm, Hermann. Tuttavia, alcuni libri sono stati dispersi o persi nel corso dei decenni.
L’anno scorso, 27 opere della collezione privata dei fratelli Grimm sono state trovate nella biblioteca dell’Università Adam Mickiewicz (AMU) a Poznań, in Polonia. Le opere, datate dal 1400 alla seconda metà del 1800, rientrano in tre categorie: incunaboli, stampe e libri. I bibliotecari sono stati in grado di identificarle grazie alle note manoscritte dei fratelli Grimm, che hanno anche fornito informazioni sul loro metodo di lavoro e sulle scelte di temi e motivi nelle loro opere.
Gli studiosi hanno tracciato il percorso dei libri fino alla fine della Seconda guerra mondiale, quando i bibliotecari cercarono di proteggere i libri dagli attacchi aerei alleati spedendoli in Polonia. Le opere rimarranno all’AMU, mentre la biblioteca le digitalizza e le rende disponibili al pubblico online. Eliza Pieciul-Karmińska, una linguista dell’AMU, spera che questo sia solo l’inizio di una migliore comprensione dei Grimm come creatori del dizionario della lingua tedesca.
Questa scoperta suggerisce che altre biblioteche potrebbero possedere opere perdute della collezione privata dei fratelli Grimm, aprendo nuove possibilità per la ricerca e la comprensione del loro lavoro.
La storia della letteratura è piena di scrittori e scrittrici che hanno trovato ispirazione e creatività proprio mentre erano costretti a letto. Da Proust a Katherine Mansfield, da Karen Blixen a Truman Capote, hanno scoperto che la posizione orizzontale può liberare la mente e permettere di vedere il mondo con occhi nuovi. È quanto di leggiamo su “La vita orizzontale. Dello scrivere a letto” un coinvolgente “articolo” di Sara De Simone su Il Tascabile. Perché le virgolette? Perché sarebbe meglio definirlo “un breve saggio”, che introduce a quegli autori che hanno caratterizzato le loro pagine, scrivendone da una posizione orizzontale, cioè stando a letto.
“Il letto, mio caro, è tutta la nostra vita. Qui si nasce, qui si ama, qui si muore”. Queste parole della protagonista di un racconto di Maupassant del 1882, “Il letto”, introducono questo tema affascinante: il letto come luogo di riflessione e creatività. La donna, costretta a letto, trova nel giaciglio un rifugio per i suoi pensieri e le sue fantasie.
Quasi cinquant’anni dopo, Virginia Woolf scrive alla sua compagna, Vita Sackville-West, anch’essa costretta a letto da una malattia. Woolf descrive la malattia non come una sciagura, ma come un’occasione per cambiare prospettiva, per abbandonare la verticalità e abbracciare l’orizzontalità. Nel suo saggio “On Being Ill” (Dell’essere malati), Woolf riflette su come la malattia possa diventare uno stato di grazia, un’opportunità per osservare il mondo da una nuova angolazione.
“Io sono verticale / ma preferirei essere orizzontale”, scrive anche Sylvia Plath in una delle sue poesie più celebri, “I am vertical”. Questa poesia, spesso considerata quale annuncio del suo futuro suicidio, contiene molto di più. Plath, come Woolf, si immagina supina, vicina alla natura e alle radici degli alberi. Il desiderio di essere orizzontale non è un desiderio di morte, ma un rifiuto della verticalità imposta dal mondo, che la separa da ciò che le è più caro.
Come ci accorgeremo, leggendo l’articolo di Sara De Simone, molti autori hanno trovato nella posizione orizzontale un modo per essere vicini a sé stessi, rinunciando alle traversie del quotidiano e abbracciando un’inattività fertile. È infatti dal basso che si scopre il cielo e si vedono le nuvole, come descritto da Szymborska e Cvetaeva. La posizione orizzontale permette di osservare il mondo da una nuova prospettiva, di essere testimoni e cantori di qualcosa di più grande.
GLI “ESPLORATORI” DELLA POSIZIONE ORIZZONTALE IN LETTERATURA
Molti autori hanno trovato nella posizione orizzontale una fonte di ispirazione e creatività, dimostrando che la malattia o l’inattività possono diventare occasioni per esplorare nuove prospettive e produrre opere significative.
Marcel Proust – Gran parte della sua opera “Alla ricerca del tempo perduto” è stata scritta mentre era costretto a letto a causa di problemi di salute.
Katherine Mansfield – Ha scritto molti dei suoi racconti, tra cui “La mosca”, mentre era malata di tubercolosi.
Karen Blixen – Ha scritto “Capricci del destino” mentre era malata di sifilide.
Margaret Mitchell – Ha iniziato a scrivere “Via col vento” mentre era costretta a letto per una frattura alla caviglia.
Edith Wharton – Preferiva scrivere a letto, libera dalla costrizione del corsetto.
Mark Twain – Noti per scrivere a letto.
William Wordsworth – Scriveva spesso a letto e, stranamente, al buio.
Truman Capote – Si definiva uno “scrittore assolutamente orizzontale”.
Brunello Cucinelli ha presentato un suo nuovo sito web basato sulla intelligenza artificiale. Cucinelli è uno stilista italiano e proprietario del marchio di moda che porta il suo nome. Molti lo conoscono soprattutto come filantropo, giacché dona la sua ricchezza personale e i profitti dell’azienda di sua proprietà per scopi di beneficenza. Imprenditore nel campo del tessile, specializzato nella compra-vendita del cashmere, anche se oggi è annoverato fra gli uomini più ricchi del mondo, non ha mai dimenticato le sue umili origini e i sacrifici della povera gente.
La Scuola di Alto Artigianato Contemporaneo per le Arti e i Mestieri di Solomeo
Brunello Cucinelli, per tornare al discorso, ha dunque presentato recentemente il suo nuovo sito web basato sull’intelligenza artificiale, chiamato BrunelloCucinelli.ai. Questo progetto è il risultato di tre anni di lavoro e rappresenta un’innovazione significativa nel campo della moda e della tecnologia.
La caratteristica principale del nuovo sito consiste nell’avere abbandonato la tradizionale struttura a pagine e menu, offrendo invece un’esperienza di navigazione dinamica che si adatta alle preferenze del visitatore. Il cuore del progetto è una piattaforma proprietaria chiamata Solomei AI, sviluppata da un gruppo di esperti in matematica, ingegneria, arte e filosofia. Solomeo, per chiarire, è la località dove Cucinelli ha impiantato la propria azienda, vicino alla sua fattoria natale.
La Scuola di Alto Artigianato Contemporaneo per le Arti e i Mestieri di Solomeo
Il sito web combina tecnologia avanzata con elementi umanistici, come disegni fatti a mano e musica orchestrata dall’intelligenza artificiale. Pertanto, nonostante l’uso intensivo della tecnologia, il sito mantiene al centro i valori umani e la filosofia del marchio. Un tale approccio mira a arricchire l’esperienza utente, senza compromettere i valori umani, dimostrando come l’AI possa essere una risorsa preziosa anche nel settore della moda.
Viene subito da chiedersi cosa ne pensano gli esperti di un nuovo sito web, che sembra sovvertire le dinamiche informatiche fino ad ora utilizzate. Le innovazioni fanno sempre piacere, soprattutto a chi guarda di buon occhio al futuro, per cui molti esperti hanno apprezzato l’approccio innovativo di Cucinelli. La combinazione di tecnologia avanzata e valori umanistici, secondo un giusto equilibrio, è vista come un modo per rendere l’intelligenza artificiale più accessibile e meno minacciosa.
Cucinelli, nella sua presentazione alla stampa, ha sottolineato che l’intelligenza artificiale non deve fare paura, ma essere vista come una risorsa che può arricchire l’esperienza umana, resa personalizzata e dinamica, permettendo in tal modo di adattandosi alle preferenze degli utenti in tempo reale. Questo messaggio è stato ben accolto, soprattutto in un’epoca in cui la tecnologia spesso viene percepita come un rischio che apre a orizzonti sconosciuti.
Naturalmente è comprensibile mantenere un certo scetticismo. La capacità degli utenti di interagire efficacemente con il sito di intelligenza artificiale dipenderà molto da come è stato progettato e dalla facilità d’uso dell’interfaccia. Superato il primo momento di smarrimento posto dalla domanda … l’interfaccia si presenta intuitiva e user-friendly, facile da navigare se si sanno porre le domande giuste.
Fornire un tutorial, esempi di navigazione e guide a supporto degli utenti meno esperti, ma pur sempre curiosi, può essere utile a comprendere meglio come utilizzare il sito. Per fare questo è importante monitorare e migliorare continuamente l’esperienza utente per affrontare eventuali difficoltà.
L’intuizione di Brunello Cucinelli riguardo all’uso dell’intelligenza artificiale (AI) nel settore della moda offre, certamente, numerosi vantaggi che possono rivoluzionare vari aspetti dell’industria. Molti saranno i benefici. Anzitutto gli algoritmi di AI potranno analizzare grandi quantità di dati per prevedere i gusti del pubblico e orientare le tendenze future. Ciò aiuterà in generale i brand a rimanere competitivi e a rispondere rapidamente ai cambiamenti del mercato.
L’AI attraverso le esperienze di shopping personalizzate, sarà in grado di suggerire prodotti basati sulle preferenze e sul comportamento di acquisto degli utenti. Senza contare l’ottimizzazione della supply chain, ovvero la catena di approvvigionamento, riducendo i tempi di produzione e consegna, e minimizzando gli sprechi. L’automazione dei processi permetterà di ridurre i costi operativi, migliorando l’efficienza. Tutto ciò a vantaggio dei clienti.
Esistono altri siti web di questo genere o quello di Cucinelli è l’unico? Per cui, se esistono come vederli all’opera? Nel settore della moda Sì, ci sono già diversi siti web che utilizzano l’intelligenza artificiale per migliorare l’esperienza utente. Scorriamo alcuni esempi:
Levi’s Virtual Stylist: Levi’s ha introdotto un chatbot basato su AI che funge da assistente personale per lo shopping, consigliando ai clienti il modello e la taglia di jeans più adatti.
Vue.ai: Questa piattaforma utilizza l’intelligenza artificiale per personalizzare l’esperienza di shopping online, offrendo raccomandazioni di prodotti basate sulle preferenze degli utenti.
Heuritech: Utilizza l’AI per analizzare i dati dei social media e prevedere le tendenze della moda, aiutando i brand a prendere decisioni informate sui nuovi prodotti.
Zmo.ai: è un altro strumento che aiuta i brand di moda a creare contenuti visivi personalizzati e a migliorare l’interazione con i clienti.
Per vedere questi siti all’opera, si possono visitare i loro siti web ufficiali e sperimentare le funzionalità offerte. Nonostante questo, già da ora possiamo affermare che il “tocco magico” che Brunello Cucinelli è riuscito a dare al suo sito sta in quel connubio di tecnologia legata all’umanesimo. Quasi che il processo intravisto sia il contrario di quello adottato comunemente. Ci sembra che l’intento sia portare il cliente verso esperienze in gradi di edificare lo spirito, acculturare l’uomo, renderlo sensibile al bello. Un percorso che Brunello Cucinelli ha intrapreso da lungo tempo e con risultati entusiasmanti.
ACCOGLIENZA DEI VISITATORI DEL SITO
Lieti di accoglierti su BrunelloCucinelli.AI Abbiamo immaginato un sito che, grazie all’unione di umana e intelligenza artificiale possa offrire una nuova esperienza di navigazione e scoperta della nostra filosofia, di Brunello e dell’impresa. Rispettiamo la tua privacy: non utilizziamo cookie, non raccogliamo né condividiamo informazioni per identificarti e minimizziamo l’uso di informazioni sulla navigazione.
La notizia è accertata: la storica rivista Life riprenderà le pubblicazioni. Tornerà in vita a partire dal 2025. Dopo un’assenza di quasi 17 anni, la celebre testata, famosa per le sue foto iconiche e i suoi reportage incisivi, tornerà a raccontare il mondo attraverso le immagini. Quando diciamo storica, non pecchiamo di enfasi. Rivista settimanale di notizie pubblicata negli Stati Uniti dal 1936 al 1972, incentrata sul fotogiornalismo, riprese le pubblicazioni come mensile dal 1978 al 2000.
Oggi l’accordo per una nuova edizione è stato siglato tra il colosso editoriale Dotdash Meredith e la startup Bedford Falls Media, fondata dal miliardario Joshua Kushner e da sua moglie, la modella Karlie Kloss.
La nuova Life si presenterà in una veste attualizzata, adattandosi al panorama mediatico odierno ricco di immagini e stimoli, pur mantenendo la sua attenzione per la fotografia di alta qualità e il racconto profondo della realtà. L’obiettivo, come dichiarato da Kushner, è quello di fare di Life “una voce edificante in un panorama mediatico caotico”.
Per scoprire come si presenterà la nuova versione di questa rivista leggendaria e immergerci nuovamente nelle sue potenti storie per immagini, non resta che attendere i primi mesi del prossimo anno.Per aver maggiori dettagli e anticipazioni, basta seguire le fonti americane bene informate che in questi giorni hanno espresso opinioni sul tema.
The New York Times: fornisce un’analisi approfondita del nuovo modello di business di Life, con un focus sul digitale e su collaborazioni con influencer e brand. L’articolo menziona anche l’intenzione di pubblicare addirittura alcuni numeri cartacei a cadenza mensile o bimestrale. CNN Business: si concentra sulla nuova leadership, evidenziando l’esperienza di Kushner e Kloss nel mondo dei media e della tecnologia. L’articolo sottolinea anche l’impegno a mantenere l’integrità giornalistica di Life, pur adattandosi alle nuove tendenze digitali. Variety: approfondisce l’aspetto creativo della rivista, anticipando collaborazioni con fotografi e scrittori di fama internazionale. L’articolo evidenzia anche l’intenzione di Life di esplorare nuovi formati di storytelling, come video e realtà virtuale.
Naturalmente non manca chi espone ai lettori critiche e dubbi. Fra questi il The Washington Post che solleva dubbi sulla sostenibilità del modello di business di Life, soprattutto in un mercato mediatico in rapido cambiamento. L’articolo cita, infatti, alcuni esperti, i quali temono che la rivista possa faticare a trovare un pubblico sufficientemente ampio per mantenere i suoi contenuti costosi. The Atlantic critica, invece, il coinvolgimento di Kushner e Kloss nel progetto, sollevando questioni sull’indipendenza editoriale della rivista. L’articolo pone interrogativi sul potenziale conflitto di interessi tra gli obiettivi commerciali di Kushner e la missione giornalistica di Life.
In generale, le fonti americane accolgono con favore la rinascita di Life, pur manifestando cautela e interrogativi. A conti fatti, la reazione pare positiva ed è facile riscontrare un grande interesse per osservare le sorti future di questa interessante iniziativa editoriale.
Perché tanta attenzione verso la rivista Life, che, come vediamo nel box in pagina, ha avuto dalla sua nascita una vita travagliata, che ne ha fatto un mito del fotogiornalismo? Semplice, perché molti dei periodici settimanali e mensili del secolo scorso, alcuni giunti fino ai nostri anni, hanno ereditato da Life lo spirito del fotogiornalismo.
Life ha, infatti, rivoluzionato il modo di raccontare le storie attraverso le immagini, ispirando generazioni di fotografi e giornalisti. Da Eisenstaedt a Bourke-White, da Mydans a Capa, da Parks a Leen, a Burrows, Halsman, Smith e Benson. Erano fotografi sempre in prima linea per scattare foto rimaste memorabili, come quelle dello sbarco in Normandia di Robert Capa, dei lager di Margaret Bourke-White, della Corea di David Douglas Duncan o del Vietnam di Larry Burrows.
Le loro immagini che compensavano il testo scritto quanto la televisione (e oggi Internet) non erano all’altezza. Le sue fotografie rappresentano un archivio inestimabile di eventi e momenti cruciali del XX secolo. Tutto ciò ha contribuito a definire la coscienza collettiva e a plasmare l’immaginario popolare.
È facile, quindi, elencare i motivi del successo di Life.Immagini di grande impatto emotivo e valore artistico, impaginate in un formato grande e accattivante, con didascalie concise. Il tutto per accompagnare storie coinvolgenti.
LA STORIA DI LIFE: DA RIVISTA UMORISTICA A MITO DEL FOTOGIORNALISMO
Le origini: 1883: Nasce come rivista settimanale umoristica a New York, con scarso successo. 1900: Acquisita da Alfred Henry Luce, che ne cambia il formato e la colloca nel panorama dei magazine popolari. 1924: Diventa mensile e si concentra su notizie, eventi e personaggi di attualità, con un’impostazione innovativa che include fotografie e illustrazioni.
La svolta del fotogiornalismo: 1936: Sotto la guida di Henry Luce, Life viene trasformata in un settimanale incentrato sul fotogiornalismo. Formato: Immagini a pagina intera e didascalie concise per un racconto immediato e coinvolgente. Fotografi di talento: Margaret Bourke-White, Dorothea Lange, Robert Capa e tanti altri immortalano eventi storici come la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Civile Spagnola. Coperture iconiche: La foto di copertina diventa un elemento distintivo, con immagini che raccontano lo spirito del tempo (es: foto del bambino vietnamita Phan Thi Kim Phuc).
Il successo e l’influenza: Anni ’40 e ’50: Life raggiunge il suo apice di popolarità, con oltre 15 milioni di copie vendute a settimana. Influenza sulla cultura: Diventa un punto di riferimento per l’informazione e la fotografia, contribuendo a plasmare la coscienza collettiva e la memoria storica. Evoluzione: Negli anni ’60 e ’70 si adatta ai cambiamenti sociali e culturali, affrontando temi come il movimento per i diritti civili e la Guerra del Vietnam.
Declino e chiusura: Anni ’70 e ’80: Con l’avvento della televisione e dei nuovi media, Life inizia a perdere terreno. 1972: Diventa un mensile. 1998: Cessa le pubblicazioni settimanali. 2000: Diventa un’edizione mensile online. 2007: Chiude definitivamente a causa delle difficoltà economiche.
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