L’antenato del cinema quando il cinema non c’era ancora

Cinema, televisione, produzione multimediale, hanno nel fenachistoscopio il loro antenato. Chi ha già sentito questo strano nome vince il piacere di potere raccontare la nascita di un oggetto cult per riprodurre immagini in movimento. Il fenachistoscopio è forse il primo dispositivo col quale visualizzare immagini non statiche ma animate. È stato ideato grazie alla ricerca incentrata sulle illusioni ottiche e presentato al pubblico come una vera e propria scoperta scientifica.

Come si può vedere nei disegni d’epoca, il fenachistoscopio era costituito da un manico che sosteneva un disco rotante in cartone. A prima vista poteva essere scambiato per un ventaglio rotondo. Il disco, tuttavia era rotante, e i disegni, riproducenti le fasi del movimento, erano disposti in cerchio. Tra i disegni vi erano strette fessure. Il disco era tenuto davanti a uno specchio in modo che i disegni potessero essere riflessi. Il lato del disco rivolto verso l’osservatore era nero. Costui guardava lo specchio attraverso le fessure, osservando i disegni mentre faceva ruotare il disco. La sequenza di immagini gli appariva in movimento. 

Una donna e un bambino guardano le immagini in movimento in uno specchio. Illustrazione riportata sulla confezione di un disco stroboscopico Magic Disk – Disques Magiques di E. Schule, c.1833


Per illusione ottica le fessure fungono da otturatore lasciando apparire l’immagine riflessa nello specchio solo per un tempo molto breve. L’occhio vede quindi un’unica immagine, che sembra essere in movimento quando il disco ruota ad una velocità sufficiente.

Ben presto il dispositivo ha guadagnato la fama di un nuovo giocattolo di intrattenimento. Così, quando la novità svanì, fu accantonato come un giocattolo per bambini, ma trovò ancora impiego come strumento dimostrativo da parte di alcuni scienziati. Il quotidiano Le Figaro presentò il dispositivo a giugno del 1833, spiegando l’invenzione e quello strano termine che derivava dalle parole greche phénakistiscos, dal verbo “ingannare” e da skopein, che significa “esaminare” o “guardare”. Quindi il significato che si intendeva dare alla parola “fenachistoscopio” era qualcosa che ricordava un “inganno dello sguardo”, “inganno dell’occhio” o, se vogliamo dirlo con parole a noi più abituali, “illusione ottica”.

L’uso del fenachistoscopio a specchio, illustrazione del 1884,
da: Gaston Tissandier, Les récréations scientifiques, Paris, 1884

L’inventore Joseph Plateau non denominò affatto il dispositivo quando fu introdotto sul mercato intorno a gennaio 1833, ma usò il nome quell’anno stesso in un articolo che faceva riferimento a un’altra versione messa in vendita. Il termine, invece, secondo alcuni fu usato per la prima volta dalla società francese Alphonse Giroux et Compagnie in una domanda di licenza di esportazione il 29 maggio 1833. Con questo nome, infatti, compare sulle loro confezioni.

Joseph Antoine Ferdinand Plateau

Abbiamo attribuito l’invenzione al fisico belga Joseph Plateau, ma come spesso accade, il fenachistoscopio fu inventato quasi contemporaneamente tra novembre e dicembre del 1832 anche dal professore austriaco di geometria pratica Simon Stampfer. Il vantaggio di Plateau fu l’avere pubblicato la sua invenzione il 21 gennaio 1833 in una lettera alla Correspondance Mathématique et Physique. L’articolo si intitolava Sur un nouveau genere d’illusions d’optique (Su una nuova forma di illusioni ottiche) ma senza dare un nome al suo dispositivo. Consisteva in un disco che rappresentava la sagoma di un ballerino mentre piroetta, ma Plateau suggeriva che sarebbe stato più efficace se fosse stato ombreggiato e dipinto a colori. 

Anche Stampfer aveva pensato di collocare la sequenza di immagini su un disco, ma proponeva anche una alternativa su di un cilindro o, nel caso di un gran numero di immagini, su carta o tessuto tesi in modo da girare attorno a due bobine parallele. Tutte soluzioni che saranno sviluppate in seguito da altri inventori e che daranno origine a prodotti similari.

Simon Stampfer

Gli editori Trentsensky & Vieweg produssero la prima edizione delle Stroboscopische Scheiben del professor Stampfer sul finire di febbraio 1833, ma probabilmente aspettarono che il Privilegium (cioè il brevetto rilasciato dalle autorità austriache fosse ufficiale il 7 maggio 1833). Il problema fu che nessuno era preparato ad un “successo immediato, ne conseguì che gli stock dei prodotti fabbricati andarono esauriti in quattro settimane, lasciandoli impossibilitati a spedire gli ordini d’acquisto. Dal canto suo, Joseph Plateau non ha mai brevettato la propria invenzione e probabilmente non era neppure molto interessato a sfruttarla. Tuttavia, ha progettato sei versioni differenti dei dischi per la ditta Ackermann & Co. di Londra. Questi furono introdotti al pubblico nel luglio 1833 coi nomi di Fantasmascopi o Fantascopi. In verità, Il fenachistoscopio divenne molto popolare e presto ci furono altri editori in Europa che pubblicarono dischi con vari nomi differenti.

Collezione cinematografica Piasio, Witte’s Moviescope, zootropio (18 cm), USA, intorno al 1920/5. Questo zootropio può anche essere collocato su un giradischi.

Il fenachistoscopio è stato popolare per solo due anni, fino all’invenzione dello zootropio da parte di William George Horner. Quest’ultimo congegno presentava due vantaggi: non richiedeva uno specchio e, cosa più importante, poteva essere visto da più di una persona alla volta. Il cinema non era ancora nato, ma la strada era aperta.


Haussmann e il fascino della Parigi del XIX secolo

L’illustrazione rappresenta il nuovo Boulevard du Temple, situato in Place de la République a Parigi, dove circolano numerosi carri trainati da cavalli, di fronte a un edificio Haussmann che ospita i Magasins Réunions – République (fonte Wikipedia)

Gran parte del fascino di Parigi lo abbiamo veduto all’apertura dei giochi olimpici, dove bellissimi palazzi pubblici e privati facevano da quinta scenografica al passaggio dei battelli durante la sfilata delle delegazioni. Molte (non tutte) di quelle meraviglie architettoniche si devono all’opera del barone Georges Eugène Haussmann, che dal 1852 al 1869, in qualità di prefetto del dipartimento della Senna, modificò completamente la città.

La storia di questa trasformazione è davvero affascinante. Immaginate Parigi a metà del 1800: una città ancora medievale, con vicoli stretti, edifici fatiscenti e un sistema fognario primitivo. Poi arrivò Haussmann, nominato prefetto della Senna da Napoleone III, con una sua visione rivoluzionaria. Armato di mappe e progetti (così è rappresentato nelle caricature dell’epoca), iniziò a tagliare e cucire Parigi come un sarto con un vestito. Le vecchie stradine tortuose furono sostituite da ampi boulevard che ancora oggi caratterizzano la città.

Non tutti, però, furono contenti, perché un gran numero di abitanti vennero sfrattati dalle proprie case demolite per far posto ai nuovi edifici eleganti e ai boulevard. Allora, forse vale soffermarci più da vicino su questa storia, seppure senza entrare troppo in dettaglio.

François Cogné (1876-1952), Monumento al barone Haussmann (particolare), all’angolo tra Boulevard Haussmann e Rue de Laborde a Parigi (fonte Wikipedia)

Napoleone III, imperatore dei francesi, incaricò Haussmann di progettare il rinnovamento di Parigi, motivato dalla rivolta del giugno 1848. L’obiettivo era facilitare la repressione di future ribellioni. L’idea era di sostituire le strette e tortuose strade con ampi viali, rendendo impossibile ai rivoltosi di erigere barricate. Questi viali avrebbero anche permesso rapidi movimenti delle truppe e il pronto spostamento dei pezzi d’artiglieria pesante trainati da cavalli. Senza contare che i cannoni avrebbero potuto sparare ad alzo zero. Questa fu la teoria che oggi chiameremmo “complottistica”, perché la versione dichiarata ufficialmente fu meno rumorosa degli spari di cannone.

Napoleone aveva potuto apprezzare come Londra stava risorgendo dopo l’incendio del 1666 che l’aveva distrutta seguendo principi innovativi d’igiene e di urbanistica. Anche Parigi aveva bisogno di luce, aria, acqua pulita e servizi igienici adeguati. Prima dell’intervento di Haussmann, il paesaggio urbano di Parigi risaliva in gran parte al tardo Medioevo. Le nuove stazioni ferroviarie, situate ai margini della città, erano scollegate tra loro e al resto della città si sviluppava solo attraverso un labirinto di strade e vicoli. Strade strette e inadatte al traffico moderno; gli edifici erano troppo vicini, le case piccole, umide e buie, e la situazione igienica era drammatica a causa della mancanza di fognature, acqua corrente e sistemi di depurazione. Inoltre, mancavano spazi pubblici, parchi e vegetazione accessibili al pubblico.

Per prima cosa Haussmann nominò quattro esperti che furono incaricati dei quattro servizi che costituivano la spina dorsale dell’operazione. Eugène Belgrand divenne responsabile delle questioni idriche e fognarie e Adolphe Alphand fu responsabile dei giardini e dei parchi. Jacques-Ignace Hittorff responsabile della progettazione locale di Place de l’Étoile. Infine, Victor Baltard fu nominato capo del dipartimento di Architettura e progettò Les Halles, mercato di vendita all’ingrosso di prodotti alimentari freschi, situato nel primo arrondissement, il cuore della capitale francese e dell’omonimo quartiere. 

L’urbanizzazione della città dipendeva dalla demolizione e dalla distruzione di molte proprietà residenziali e quartieri tradizionali. L’immagine di Haussmann come “Artiste Démolisseur” sarebbe servita da ispirazione per una varietà di vignette satiriche e politiche durante il Secondo Impero, come la caricatura anonima mostrata qui.

Per realizzare la riqualificazione di Parigi, venne adottata una combinazione di piani e interventi mirati. La base del progetto consisteva nella costruzione di un sistema di ampi viali rettilinei e piazze, in parte tracciati abbattendo aree del tessuto urbano medievale ormai fatiscente e in parte come allargamenti o prolungamenti di strade già presenti. Un esempio sono i dodici viali che, disposti a forma di stella con l’Arco di Trionfo al centro della Place de l’Etoile, si estendono in senso orario da nord.

La zona periferica della città fu collegata al centro urbano attraverso nuove strade. Vennero riprogettate e costruite strade per migliorare l’accessibilità, e strade principali per il flusso del traffico. Nella rete vennero inserite strade diagonali e i viali così da vitalizzare la connettività urbana. La costruzione di nuove strade portò all’introduzione di nuove leggi sugli espropri, facilitando la demolizione degli edifici esistenti. Furono costruiti il teatro dell’opera e molti edifici pubblici, tutte opere che abbellirono le strade della capitale.

Oltre agli interventi sulla mobilità, Haussmann ha realizzato diversi progetti per migliorare la qualità della vita in città, come la creazione di un vasto sistema di parchi verdi, grandi e piccoli. Haussmann fece costruire il Bois de Boulogne e abbellì parchi più piccoli. Ha ridotto i giardini del Palazzo del Lussemburgo (Jardin du Luxembourg) per creare spazio per nuove strade. Furono inoltre installati un nuovo approvvigionamento idrico, un gigantesco sistema fognario, ponti, un canale sotterraneo da Avenue de la République a Boulevard Bourdon. La scarsa igiene fu affrontata migliorando il sistema fognario e la qualità dell’acqua fu permessa dalla costruzione di condutture e acquedotti.

Sotto il Secondo Impero la rue de Rivoli divenne una delle vie più alla moda di Parigi. Haussmann estese la strada in modo spettacolare e aprirono molti negozi di vestiti e profumi, alcuni dei quali sono rappresentati qui (fonte Wikipedia)

Per rendere tutto ciò possibile furono demoliti interi isolati di case. Il Boulevard de Sébastopol , la cui metà meridionale è ora Boulevard Saint-Michel, tagliò ad esempio un quartiere operaio. Le nuove costruzioni lungo i boulevard non lasciarono più spazio agli alloggi economici di un tempo e la popolazione operaia più povera dati gli affitti elevati delle nuove e moderne costruzioni dovette trasferirsi nelle banlieues, i sobborghi di Parigi.

Secondo alcune stime, l’opera del barone Haussmann cambiò Parigi del 60%: 18.000 case furono demolite tra il 1852 e il 1868. L’opera di Haussmann trovò consenziente soprattutto le classi abbienti, al contrario di una parte del popolo parigino, che ritenne gli interventi responsabili delle radici culturali e dei legami sociali. In sintesi, mentre l’opera di Haussmann trasformò Parigi in una città moderna e funzionale, che influenzò la trasformazione di altre capitali europee, le metodologie adottate e l’impatto sociale delle riforme generarono un dibattito acceso che continua ancora oggi.

Copertina di uno dei volumi di memorie scritti da Haussmann e stampati presso Victor Havard, 1890 (fonte Wikipedia)

Napoleone III era consapevole delle reazioni contrastanti della popolazione alle opere di Haussmann. Da un lato, egli vedeva il rinnovamento di Parigi come un passo necessario per modernizzare la città, migliorare le condizioni igieniche e facilitare il controllo militare e sociale. Credeva fermamente che questi cambiamenti avrebbero portato benefici a lungo termine, rendendo Parigi una capitale moderna e funzionale. Dal canto suo, Napoleone III pur consapevole delle critiche e del malcontento causati dalle demolizioni e dagli espropri sostenne Haussmann fino al 1870, quando le difficoltà finanziarie e le pressioni politiche portarono alla rimozione di Haussmann dal suo incarico.

Alcuni dei critici contemporanei di Haussmann rividero le loro opposizioni nel corso del tempo. Jules Simon, ardente repubblicano, era stato un feroce critico di Haussmann in parlamento, ma nel 1882 scrisse di Haussmann nel Gaulois parole di elogio: “Cercò di fare di Parigi una città magnifica, e ci riuscì completamente. Quando prese Parigi in mano ed espletò il suo mandato, rue Saint-Honoré e rue Saint-Antoine erano ancora le strade più grandi della città. Non avevamo altre passeggiate che i Grands Boulevards e le Tuileries; gli Champs-Élysées erano per la maggior parte del tempo una fogna; il Bois-de-Boulogne era al confine del mondo. In quei tempi lontani, ci mancavano acqua, mercati, luce, e sono passati solo trent’anni. Demolì quartieri, si potrebbe dire, città intere. Gridavano che avrebbe scatenato una peste; ci lasciò piangere e, al contrario, attraverso il suo intelligente sventramento dei vecchi quartieri, ci diede aria, salute e vita. Qui creò una strada; lì creò un viale o un boulevard; qui una Place, una Square; una Promenade. Dal nulla fece gli Champs-Élysées, il Bois de Boulogne, il Bois de Vincennes. E introdusse nella sua bella capitale alberi e fiori, e la popolò di statue.”


I Fratelli Grimm: custodi di fiabe e linguisti straordinari

Una delle opere perdute scoperte nella Biblioteca universitaria dell’AMU con annotazioni dei fratelli Grimm – Adam Mickiewicz University

Jacob Ludwig Carl Grimm e Wilhelm Carl Grimm, meglio conosciuti come i fratelli Grimm, sono celebri per aver raccolto e trasformato centinaia di storie orali in racconti scritti duraturi. Tra le loro opere più famose troviamo “Cenerentola”, “Cappuccetto Rosso” e “Raperonzolo”. La loro raccolta di racconti, “Kinder-und Hausmärchen” (Racconti per bambini e famiglie), trasmette semplici lezioni morali che risuonano universalmente, rendendole accessibili a tutti.

Jacob e Wilhelm, i più grandi di sei, nacquero nel 1785 e nel 1786. Erano accademici tedeschi che iniziarono la loro carriera scrivendo canzoni popolari e storie per i loro amici

Secondo Jack Zipes del National Endowment for the Humanities, i Grimm credevano che le storie e la loro morale emanassero naturalmente dal popolo tedesco attraverso la tradizione orale. Volevano preservare queste storie prima che andassero perdute per sempre. Tuttavia, i fratelli Grimm erano più che semplici folkloristi; erano anche linguisti che hanno contribuito significativamente allo studio della letteratura classica tedesca e della lingua tedesca. La coppia iniziò a lavorare sul “Deutsche Wörterbuch”, considerato oggi il dizionario tedesco più esteso, con 32 volumi, oltre 331.000 voci e circa 4.000 fonti citate.

Per facilitare la loro ricerca sul folklore e la linguistica, i fratelli Grimm consultavano la loro biblioteca privata di 8.000 libri. Oggi, la maggior parte di questi libri si trova in una biblioteca a Berlino, trasferiti lì dal figlio di Wilhelm, Hermann. Tuttavia, alcuni libri sono stati dispersi o persi nel corso dei decenni.

L’anno scorso, 27 opere della collezione privata dei fratelli Grimm sono state trovate nella biblioteca dell’Università Adam Mickiewicz (AMU) a Poznań, in Polonia. Le opere, datate dal 1400 alla seconda metà del 1800, rientrano in tre categorie: incunaboli, stampe e libri. I bibliotecari sono stati in grado di identificarle grazie alle note manoscritte dei fratelli Grimm, che hanno anche fornito informazioni sul loro metodo di lavoro e sulle scelte di temi e motivi nelle loro opere.

Gli studiosi hanno tracciato il percorso dei libri fino alla fine della Seconda guerra mondiale, quando i bibliotecari cercarono di proteggere i libri dagli attacchi aerei alleati spedendoli in Polonia. Le opere rimarranno all’AMU, mentre la biblioteca le digitalizza e le rende disponibili al pubblico online. Eliza Pieciul-Karmińska, una linguista dell’AMU, spera che questo sia solo l’inizio di una migliore comprensione dei Grimm come creatori del dizionario della lingua tedesca.

Questa scoperta suggerisce che altre biblioteche potrebbero possedere opere perdute della collezione privata dei fratelli Grimm, aprendo nuove possibilità per la ricerca e la comprensione del loro lavoro.


Quando stare a letto è utile per trovare l’ispirazione

La storia della letteratura è piena di scrittori e scrittrici che hanno trovato ispirazione e creatività proprio mentre erano costretti a letto. Da Proust a Katherine Mansfield, da Karen Blixen a Truman Capote, hanno scoperto che la posizione orizzontale può liberare la mente e permettere di vedere il mondo con occhi nuovi. È quanto di leggiamo su “La vita orizzontale. Dello scrivere a letto” un coinvolgente “articolo” di Sara De Simone su Il Tascabile. Perché le virgolette? Perché sarebbe meglio definirlo “un breve saggio”, che introduce a quegli autori che hanno caratterizzato le loro pagine, scrivendone da una posizione orizzontale, cioè stando a letto.

Il letto, mio caro, è tutta la nostra vita. Qui si nasce, qui si ama, qui si muore. Queste parole della protagonista di un racconto di Maupassant del 1882, “Il letto”, introducono questo tema affascinante: il letto come luogo di riflessione e creatività. La donna, costretta a letto, trova nel giaciglio un rifugio per i suoi pensieri e le sue fantasie.

Quasi cinquant’anni dopo, Virginia Woolf scrive alla sua compagna, Vita Sackville-West, anch’essa costretta a letto da una malattia. Woolf descrive la malattia non come una sciagura, ma come un’occasione per cambiare prospettiva, per abbandonare la verticalità e abbracciare l’orizzontalità. Nel suo saggio “On Being Ill” (Dell’essere malati), Woolf riflette su come la malattia possa diventare uno stato di grazia, un’opportunità per osservare il mondo da una nuova angolazione.

“Io sono verticale / ma preferirei essere orizzontale”, scrive anche Sylvia Plath in una delle sue poesie più celebri, “I am vertical”. Questa poesia, spesso considerata quale annuncio del suo futuro suicidio, contiene molto di più. Plath, come Woolf, si immagina supina, vicina alla natura e alle radici degli alberi. Il desiderio di essere orizzontale non è un desiderio di morte, ma un rifiuto della verticalità imposta dal mondo, che la separa da ciò che le è più caro.

Come ci accorgeremo, leggendo l’articolo di Sara De Simone, molti autori hanno trovato nella posizione orizzontale un modo per essere vicini a sé stessi, rinunciando alle traversie del quotidiano e abbracciando un’inattività fertile. È infatti dal basso che si scopre il cielo e si vedono le nuvole, come descritto da Szymborska e Cvetaeva. La posizione orizzontale permette di osservare il mondo da una nuova prospettiva, di essere testimoni e cantori di qualcosa di più grande.

LEGGI: Sara De Simone, La vita orizzontale. Dello scrivere a letto, Il Tascabile


Molti autori hanno trovato nella posizione orizzontale una fonte di ispirazione e creatività, dimostrando che la malattia o l’inattività possono diventare occasioni per esplorare nuove prospettive e produrre opere significative.

Marcel Proust – Gran parte della sua opera “Alla ricerca del tempo perduto” è stata scritta mentre era costretto a letto a causa di problemi di salute.

Katherine Mansfield – Ha scritto molti dei suoi racconti, tra cui “La mosca”, mentre era malata di tubercolosi.

Karen Blixen – Ha scritto “Capricci del destino” mentre era malata di sifilide.

Margaret Mitchell – Ha iniziato a scrivere “Via col vento” mentre era costretta a letto per una frattura alla caviglia.

Edith Wharton – Preferiva scrivere a letto, libera dalla costrizione del corsetto.

Mark Twain – Noti per scrivere a letto.

William Wordsworth – Scriveva spesso a letto e, stranamente, al buio.

Truman Capote – Si definiva uno “scrittore assolutamente orizzontale”.


Cucinelli: quando un website combina Tecnologia Umanesimo e AI

Brunello Cucinelli

Brunello Cucinelli ha presentato un suo nuovo sito web basato sulla intelligenza artificiale. Cucinelli è uno stilista italiano e proprietario del marchio di moda che porta il suo nome. Molti lo conoscono soprattutto come filantropo, giacché dona la sua ricchezza personale e i profitti dell’azienda di sua proprietà per scopi di beneficenza. Imprenditore nel campo del tessile, specializzato nella compra-vendita del cashmere, anche se oggi è annoverato fra gli uomini più ricchi del mondo, non ha mai dimenticato le sue umili origini e i sacrifici della povera gente.

La Scuola di Alto Artigianato Contemporaneo per le Arti e i Mestieri di Solomeo

Brunello Cucinelli, per tornare al discorso, ha dunque presentato recentemente il suo nuovo sito web basato sull’intelligenza artificiale, chiamato BrunelloCucinelli.ai. Questo progetto è il risultato di tre anni di lavoro e rappresenta un’innovazione significativa nel campo della moda e della tecnologia.

La caratteristica principale del nuovo sito consiste nell’avere abbandonato la tradizionale struttura a pagine e menu, offrendo invece un’esperienza di navigazione dinamica che si adatta alle preferenze del visitatore. Il cuore del progetto è una piattaforma proprietaria chiamata Solomei AI, sviluppata da un gruppo di esperti in matematica, ingegneria, arte e filosofia. Solomeo, per chiarire, è la località dove Cucinelli ha impiantato la propria azienda, vicino alla sua fattoria natale.

La Scuola di Alto Artigianato Contemporaneo per le Arti e i Mestieri di Solomeo

Il sito web combina tecnologia avanzata con elementi umanistici, come disegni fatti a mano e musica orchestrata dall’intelligenza artificiale. Pertanto, nonostante l’uso intensivo della tecnologia, il sito mantiene al centro i valori umani e la filosofia del marchio. Un tale approccio mira a arricchire l’esperienza utente, senza compromettere i valori umani, dimostrando come l’AI possa essere una risorsa preziosa anche nel settore della moda.

Viene subito da chiedersi cosa ne pensano gli esperti di un nuovo sito web, che sembra sovvertire le dinamiche informatiche fino ad ora utilizzate. Le innovazioni fanno sempre piacere, soprattutto a chi guarda di buon occhio al futuro, per cui molti esperti hanno apprezzato l’approccio innovativo di Cucinelli. La combinazione di tecnologia avanzata e valori umanistici, secondo un giusto equilibrio, è vista come un modo per rendere l’intelligenza artificiale più accessibile e meno minacciosa.

Cucinelli, nella sua presentazione alla stampa, ha sottolineato che l’intelligenza artificiale non deve fare paura, ma essere vista come una risorsa che può arricchire l’esperienza umana, resa personalizzata e dinamica, permettendo in tal modo di adattandosi alle preferenze degli utenti in tempo reale. Questo messaggio è stato ben accolto, soprattutto in un’epoca in cui la tecnologia spesso viene percepita come un rischio che apre a orizzonti sconosciuti.

Naturalmente è comprensibile mantenere un certo scetticismo. La capacità degli utenti di interagire efficacemente con il sito di intelligenza artificiale dipenderà molto da come è stato progettato e dalla facilità d’uso dell’interfaccia. Superato il primo momento di smarrimento posto dalla domanda … l’interfaccia si presenta intuitiva e user-friendly, facile da navigare se si sanno porre le domande giuste.

Fornire un tutorial, esempi di navigazione e guide a supporto degli utenti meno esperti, ma pur sempre curiosi, può essere utile a comprendere meglio come utilizzare il sito. Per fare questo è importante monitorare e migliorare continuamente l’esperienza utente per affrontare eventuali difficoltà.

L’intuizione di Brunello Cucinelli riguardo all’uso dell’intelligenza artificiale (AI) nel settore della moda offre, certamente, numerosi vantaggi che possono rivoluzionare vari aspetti dell’industria. Molti saranno i benefici. Anzitutto gli algoritmi di AI potranno analizzare grandi quantità di dati per prevedere i gusti del pubblico e orientare le tendenze future. Ciò aiuterà in generale i brand a rimanere competitivi e a rispondere rapidamente ai cambiamenti del mercato.

L’AI attraverso le esperienze di shopping personalizzate, sarà in grado di suggerire prodotti basati sulle preferenze e sul comportamento di acquisto degli utenti. Senza contare l’ottimizzazione della supply chain, ovvero la catena di approvvigionamento, riducendo i tempi di produzione e consegna, e minimizzando gli sprechi. L’automazione dei processi permetterà di ridurre i costi operativi, migliorando l’efficienza. Tutto ciò a vantaggio dei clienti.

Esistono altri siti web di questo genere o quello di Cucinelli è l’unico? Per cui, se esistono come vederli all’opera? Nel settore della moda Sì, ci sono già diversi siti web che utilizzano l’intelligenza artificiale per migliorare l’esperienza utente. Scorriamo alcuni esempi:

Levi’s Virtual Stylist: Levi’s ha introdotto un chatbot basato su AI che funge da assistente personale per lo shopping, consigliando ai clienti il modello e la taglia di jeans più adatti.

Vue.ai: Questa piattaforma utilizza l’intelligenza artificiale per personalizzare l’esperienza di shopping online, offrendo raccomandazioni di prodotti basate sulle preferenze degli utenti.

Heuritech: Utilizza l’AI per analizzare i dati dei social media e prevedere le tendenze della moda, aiutando i brand a prendere decisioni informate sui nuovi prodotti.

Zmo.ai: è un altro strumento che aiuta i brand di moda a creare contenuti visivi personalizzati e a migliorare l’interazione con i clienti.

Per vedere questi siti all’opera, si possono visitare i loro siti web ufficiali e sperimentare le funzionalità offerte. Nonostante questo, già da ora possiamo affermare che il “tocco magico” che Brunello Cucinelli è riuscito a dare al suo sito sta in quel connubio di tecnologia legata all’umanesimo. Quasi che il processo intravisto sia il contrario di quello adottato comunemente. Ci sembra che l’intento sia portare il cliente verso esperienze in gradi di edificare lo spirito, acculturare l’uomo, renderlo sensibile al bello. Un percorso che Brunello Cucinelli ha intrapreso da lungo tempo e con risultati entusiasmanti.

ACCOGLIENZA DEI VISITATORI DEL SITO

Lieti di accoglierti su BrunelloCucinelli.AI
Abbiamo immaginato un sito che, grazie all’unione di umana e intelligenza artificiale possa offrire una nuova esperienza di navigazione e scoperta della nostra filosofia, di Brunello e dell’impresa.
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LIFE un mito del fotogiornalismo per la sua capacità di raccontare storie

La notizia è accertata: la storica rivista Life riprenderà le pubblicazioni. Tornerà in vita a partire dal 2025. Dopo un’assenza di quasi 17 anni, la celebre testata, famosa per le sue foto iconiche e i suoi reportage incisivi, tornerà a raccontare il mondo attraverso le immagini. Quando diciamo storica, non pecchiamo di enfasi. Rivista settimanale di notizie pubblicata negli Stati Uniti dal 1936 al 1972, incentrata sul fotogiornalismo, riprese le pubblicazioni come mensile dal 1978 al 2000.

Oggi l’accordo per una nuova edizione è stato siglato tra il colosso editoriale Dotdash Meredith e la startup Bedford Falls Media, fondata dal miliardario Joshua Kushner e da sua moglie, la modella Karlie Kloss.

La nuova Life si presenterà in una veste attualizzata, adattandosi al panorama mediatico odierno ricco di immagini e stimoli, pur mantenendo la sua attenzione per la fotografia di alta qualità e il racconto profondo della realtà. L’obiettivo, come dichiarato da Kushner, è quello di fare di Life “una voce edificante in un panorama mediatico caotico”.

Per scoprire come si presenterà la nuova versione di questa rivista leggendaria e immergerci nuovamente nelle sue potenti storie per immagini, non resta che attendere i primi mesi del prossimo anno.Per aver maggiori dettagli e anticipazioni, basta seguire le fonti americane bene informate che in questi giorni hanno espresso opinioni sul tema.

The New York Times: fornisce un’analisi approfondita del nuovo modello di business di Life, con un focus sul digitale e su collaborazioni con influencer e brand. L’articolo menziona anche l’intenzione di pubblicare addirittura alcuni numeri cartacei a cadenza mensile o bimestrale.
CNN Business: si concentra sulla nuova leadership, evidenziando l’esperienza di Kushner e Kloss nel mondo dei media e della tecnologia. L’articolo sottolinea anche l’impegno a mantenere l’integrità giornalistica di Life, pur adattandosi alle nuove tendenze digitali.
Variety: approfondisce l’aspetto creativo della rivista, anticipando collaborazioni con fotografi e scrittori di fama internazionale. L’articolo evidenzia anche l’intenzione di Life di esplorare nuovi formati di storytelling, come video e realtà virtuale.

Naturalmente non manca chi espone ai lettori critiche e dubbi. Fra questi il The Washington Post che solleva dubbi sulla sostenibilità del modello di business di Life, soprattutto in un mercato mediatico in rapido cambiamento. L’articolo cita, infatti, alcuni esperti, i quali temono che la rivista possa faticare a trovare un pubblico sufficientemente ampio per mantenere i suoi contenuti costosi. The Atlantic critica, invece, il coinvolgimento di Kushner e Kloss nel progetto, sollevando questioni sull’indipendenza editoriale della rivista. L’articolo pone interrogativi sul potenziale conflitto di interessi tra gli obiettivi commerciali di Kushner e la missione giornalistica di Life.

In generale, le fonti americane accolgono con favore la rinascita di Life, pur manifestando cautela e interrogativi. A conti fatti, la reazione pare positiva ed è facile riscontrare un grande interesse per osservare le sorti future di questa interessante iniziativa editoriale.

Perché tanta attenzione verso la rivista Life, che, come vediamo nel box in pagina, ha avuto dalla sua nascita una vita travagliata, che ne ha fatto un mito del fotogiornalismo? Semplice, perché molti dei periodici settimanali e mensili del secolo scorso, alcuni giunti fino ai nostri anni, hanno ereditato da Life lo spirito del fotogiornalismo.

Life ha, infatti, rivoluzionato il modo di raccontare le storie attraverso le immagini, ispirando generazioni di fotografi e giornalisti. Da Eisenstaedt a Bourke-White, da Mydans a Capa, da Parks a Leen, a Burrows, Halsman, Smith e Benson. Erano fotografi sempre in prima linea per scattare foto rimaste memorabili, come quelle dello sbarco in Normandia di Robert Capa, dei lager di Margaret Bourke-White, della Corea di David Douglas Duncan o del Vietnam di Larry Burrows.

Le loro immagini che compensavano il testo scritto quanto la televisione (e oggi Internet) non erano all’altezza. Le sue fotografie rappresentano un archivio inestimabile di eventi e momenti cruciali del XX secolo. Tutto ciò ha contribuito a definire la coscienza collettiva e a plasmare l’immaginario popolare.

È facile, quindi, elencare i motivi del successo di Life.Immagini di grande impatto emotivo e valore artistico, impaginate in un formato grande e accattivante, con didascalie concise. Il tutto per accompagnare storie coinvolgenti. 

LA STORIA DI LIFE: DA RIVISTA UMORISTICA A MITO DEL FOTOGIORNALISMO

Le origini:
1883: Nasce come rivista settimanale umoristica a New York, con scarso successo.
1900: Acquisita da Alfred Henry Luce, che ne cambia il formato e la colloca nel panorama dei magazine popolari.
1924: Diventa mensile e si concentra su notizie, eventi e personaggi di attualità, con un’impostazione innovativa che include fotografie e illustrazioni.

La svolta del fotogiornalismo:
1936: Sotto la guida di Henry Luce, Life viene trasformata in un settimanale incentrato sul fotogiornalismo.
Formato: Immagini a pagina intera e didascalie concise per un racconto immediato e coinvolgente.
Fotografi di talento: Margaret Bourke-White, Dorothea Lange, Robert Capa e tanti altri immortalano eventi storici come la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Civile Spagnola.
Coperture iconiche: La foto di copertina diventa un elemento distintivo, con immagini che raccontano lo spirito del tempo (es: foto del bambino vietnamita Phan Thi Kim Phuc).

Il successo e l’influenza:
Anni ’40 e ’50: Life raggiunge il suo apice di popolarità, con oltre 15 milioni di copie vendute a settimana.
Influenza sulla cultura: Diventa un punto di riferimento per l’informazione e la fotografia, contribuendo a plasmare la coscienza collettiva e la memoria storica.
Evoluzione: Negli anni ’60 e ’70 si adatta ai cambiamenti sociali e culturali, affrontando temi come il movimento per i diritti civili e la Guerra del Vietnam.

Declino e chiusura:
Anni ’70 e ’80: Con l’avvento della televisione e dei nuovi media, Life inizia a perdere terreno.
1972: Diventa un mensile.
1998: Cessa le pubblicazioni settimanali.
2000: Diventa un’edizione mensile online.
2007: Chiude definitivamente a causa delle difficoltà economiche.

Non solo visitatori di pagine web, ma anche abbonati 

Riferendosi ai sondaggi più recenti il 95 per cento dei lettori di news non è disposto ad abbonarsi a una singola testata giornalistica. C’è da chiedersi quale sia il motivo. Primi fra tutti se lo chiedono gli editori perché il mercato dell’editoria potrebbe orientarsi differentemente e migliorare la propria offerta a vantaggio del pubblico. I lettori intervistati rispondono che preferiscono avere accesso a una varietà di fonti per ottenere una visione più completa e bilanciata delle notizie. Abbonarsi a una sola testata potrebbe limitare questa varietà.

In realtà sembrano pesare piuttosto i costi. Gli abbonamenti possono essere anche costosi se affrontati con un abbonamento annuale, per cui molti lettori non sono disposti a pagare per più di una fonte di notizie, soprattutto quando ci sono molte alternative gratuite disponibili online. Alternative gratuite, naturalmente.

Ma quale è il risultato in quanto a qualità e affidabilità? Con l’avvento dei social media e degli aggregatori di notizie, molti lettori sono abituati a ricevere notizie da diverse fonti in un unico luogo, rendendo meno attraente l’abbonamento a una singola testata. Affidarsi a una singola testata potrebbe non coprire tutti gli argomenti legati al proprio interesse, mentre abbonarsi a più testate potrebbe essere necessario per soddisfare esigenze informative a secondo della notizia che ha attratto l’attenzione del lettore.

Ci sono, tuttavia, diverse alternative all’abbonamento a una singola testata giornalistica che possono aiutarti a rimanere informato senza dover pagare per un singolo servizio. Quelle offerte, ad esempio, dagli aggregatori di notizie: App come Google News e Flipboard raccolgono notizie da varie fonti e le presentano in un unico luogo, permettendoti di personalizzare le tue preferenze e ricevere aggiornamenti su argomenti di tuo interesse.

Esistono inoltre Siti di informazione indipendente: cioè Portali come Il Post o Valigia Blu che offrono notizie e approfondimenti. Per essere sostenuti ricorrono al finanziamento da parte dei lettori stessi. E naturalmente ci sono i Social media, che dividono la maggiore fetta della torta statistica. Sono le Piattaforme come Twitter e Facebook ad essere utilizzate maggiormente per seguire giornalisti, testate e argomenti specifici. In gran parte dei casi parliamo di fonti informative finanziate attraverso post commerciali. Ma tutti sappiamo (anche se lo dimentichiamo facilmente) che è sempre importante verificare l’affidabilità delle fonti, soprattutto quelle individuali.

Molti giornalisti e singole testate offrono newsletter gratuite che puoi ricevere direttamente nella tua casella di posta elettronica. Molto valide sono quelle di Internazionale o dell’Linkiesta. Così come esistono app dedicate a specifici settori, ad esempio Sky Sport per le notizie sportive o Yahoo Finanza per le notizie economiche. Per non parlare di un sistema denominato RSS Feed, utilizzato da molti lettori: il pensiero corre subito a Feedly, che ti permette di aggregare articoli da vari siti web in un unico flusso personalizzato.

Foto di 99mimimi da Pixabay

A questo punto, occorre domandarsi come si dovrebbe finanziare la produzione di notizie, se il prodotto gratuito sembra essere quello più appetibile, al di là di risposte spesso poco sincere. In soldoni: a quali alternative gli editori pensano per tamponare o, nel migliore dei casi, risolvere il problema degli abbonamenti?

Vagliamo insieme alcune delle strategie più comuni. I più comuni quanto sperimentali sono i modelli di pagamento flessibili. Chi più chi meno offre abbonamenti mensili o settimanali, per rendere più accattivante l’accesso ai contenuti. Alcuni editori stanno sperimentando i micropagamenti, permettendo ai lettori di pagare solo per i singoli articoli che desiderano leggere Tuttavia, ciò vale se il lettore si sofferma sulle notizie in modo saltuario, perché tirando le somme alla lunga conviene abbonarsi.

In tal modo si può usufruire di contenuti esclusivi e personalizzati: articoli approfonditi, interviste esclusive e analisi dettagliate. Fattori che possono incentivare i lettori a sottoscrivere un abbonamento. Inoltre, la personalizzazione dei contenuti, in base agli interessi dei lettori, oppure organizzare eventi esclusivi, webinar, e creare community online per gli abbonati può aggiungere valore all’abbonamento e creare un senso di appartenenza tra i lettori.

Più si allargano le offerte, maggiori divengono i costi. Per condividere le spese gestionali gli editori ricorrono pertanto a partnership e bundle. Collaborare, infatti, con altre aziende per offrire pacchetti combinati (bundle) che includono abbonamenti a più servizi, come piattaforme di streaming o altri media, può rendere l’offerta più attraente.

Alcuni editori utilizzano il modello “freemium”, offrendo una parte dei contenuti gratuitamente e riservando i contenuti premium agli abbonati. Questo approccio permette ai lettori di valutare la qualità dei contenuti prima di impegnarsi in un abbonamento.

Le strategie, sperimentali al momento, adottate dagli editori per affrontare il problema degli abbonamenti stanno mostrando risultati misti, con alcuni successi e alcune sfide ancora da superare.

Molte testate hanno visto un aumento significativo degli abbonamenti digitali, grazie a offerte promozionali e prezzi più accessibili. Questo ha permesso di ampliare la base di lettori. L’e-commerce ha dato un forte impulso alle vendite di libri, con un aumento delle novità pubblicate e un catalogo di titoli disponibili in continua espansione.

Una cosa è certa: bisogna fare in fretta. L’aumento dei costi della carta e delle spese operative ha ridotto i margini di profitto per molte case editrici, nonostante l’aumento delle vendite digitali. Inoltre, la concorrenza tra le diverse testate giornalistiche e altre forme di intrattenimento rende difficile mantenere l’attenzione dei lettori e differenziarsi sul mercato.

Non rimane che bilanciare l’offerta di contenuti gratuiti e a pagamento, garantendo al contempo la qualità e l’innovazione per giustificare il costo degli abbonamenti. La soluzione è però una, e una soltanto: si compra ciò che torna davvero utile. I nani e le ballerine piacciono nei giorni di festa.


Al mattino un cappuccino prima di iniziare la giornata

Il cappuccino è la bevanda a base di caffè più popolare in Italia.

Viene tradizionalmente servito in una tazza di ceramica bianca.

Esistono diverse varianti del cappuccino, come il cappuccino macchiato (con una macchia di espresso) e il cappuccino freddo.

Per cominciare bene la giornata, direi di prenderci un cappuccino. Per questo vorrei domandarti, Laura, quali siano le origini del cappuccino. In breve: raccontami il cappuccino tra storia e leggenda.

Partirei da un frate cappuccino e dall’assedio di Vienna. La storia del cappuccino inizia, infatti, ufficialmente nella capitale austriaca nel lontano 1683. Si narra che il frate cappuccino Marco d’Aviano, inviato dal Papa in missione diplomatica per raccogliere sostegno contro l’assedio turco della città, assaggiò il caffè nero servito dai viennesi e lo trovò troppo forte. Per renderlo più gradevole, chiese di aggiungere del latte e dello zucchero.

In altre parole, frate d’Aviano si è inventato un nuovo modo di bere il caffè nero a Vienna.

La bevanda, battezzata “Kapuziner” in onore del frate e del colore del suo saio, divenne ben presto popolare tra i viennesi. Il nome “cappuccino” per altri sembra invece derivare, più che dal colore dell’abito dei frati cappuccini, piuttosto dall’aspetto della loro tonsura, cioè la rasatura di forma circolare (detta anche chierica) che i religiosi avevano l’obbligo di portare sul capo. Si presentava come un cerchio di pelle bianca circondato da capelli corvini. Il bianco ricordava il latte, mentre i capelli facevano riferimento al caffè nero.

Oltre alla leggenda di Marco d’Aviano, però, esistono anche altre teorie sulle origini del cappuccino.

È vero. Alcune storie attribuiscono la creazione della bevanda a dei soldati polacchi che, durante la battaglia di Vienna, avrebbero aggiunto del latte al caffè sottratto ai turchi.  Secondo una leggenda, dopo la battaglia di Vienna del 1683, i viennesi utilizzarono i sacchi di caffè abbandonati dalle truppe del sultano. Per addolcirne il sapore intenso, aggiunsero panna e miele, ottenendo come risultato un colore simile a quello dei cappuccini.

Tuttavia, il Kapuziner non è ancora in nostro “cappuccino”.

Esattamente come dici. Al di fuori della capitale austriaca, questa bevanda divenne nota come “café viennois”, ovvero “caffè viennese”. Nel corso del XVIII secolo, la ricetta si diffuse e in Italia si consolidò con il nome di “cappuccino”. Questo anche in virtù di alcune modifiche: al posto dello zucchero, per addolcirlo, si iniziò a utilizzare la schiuma di latte, elemento che conferisce al cappuccino il suo aspetto distintivo e cremoso. Tuttavia, nella sua preparazione moderna, il cappuccino è legato all’uso della macchina per espresso, un’invenzione brevettata in Italia nel 1901 da Luigi Bezzera.

Indipendentemente dalle sue origini, il cappuccino è diventato una delle bevande più amate e diffuse al mondo, simbolo della cultura italiana del caffè.

Questo grazie alla sua ricetta semplice e versatile, unita al gusto ricco e cremoso che lo rende un classico intramontabile. Il cappuccino che ci hanno portato al tavolo, per definizione è una bevanda a base di caffè espresso e latte montato a vapore, che gli conferisce la classica consistenza cremosa. Per la precisione, è composto da 125 ml di latte e 25 ml di caffè espresso, e può essere arricchito con cacao in polvere o cannella. La temperatura del latte non deve superare i 65°C.

Quale tecnica si usa per preparare un buon cappuccino?

La tecnica del barista consiste nell’introdurre minuscole bolle d’aria nel latte, insufflando vapore a pressione, creando in tal modo una consistenza cremosa. Il cappuccino, inoltre, è da noi servito in una tazza di ceramica da circa 180 ml, ideale per mantenere il calore. In Italia, il cappuccino si consuma principalmente a colazione, spesso accompagnato da dolci. Generalmente si tratta di croissant o altri prodotti da forno. Recentemente, per migliorare l’aspetto estetico del cappuccino, si utilizzano tecniche moderne di latte art, che permettono di decorare la bevanda con disegni realizzati con la lattiera o strumenti manuali.

Nuove varianti del cappuccino stanno emergendo, con l’aggiunta di ingredienti come sciroppi aromatizzati, spezie e latte vegetale. Me lo confermi?

Proprio così. Ogni anno si tiene Il World Barista Championship (WBC), dove i baristi competono per creare la migliore tazza di cappuccino. Il concorso è un evento emozionante che mette in mostra le loro abilità e la creatività sempre vivace. Aggiungerei anche il Campionato Mondiale di “Latte Art”, dove i baristi competono per creare i migliori disegni con la schiuma di latte.

Pur tuttavia, alcuni sollevano obiezioni legate all’impatto ambientale, in rapporto con la produzione di latte vaccino.

Come proposta c’è pronta un’alternativa. Alcuni gruppi stanno operando per sostituire il latte animale con quello a base vegetale, come il latte di mandorle o di soia, proprio per ridurre un impatto ambientale negativo. Già da ora, esistono diverse caffetterie che offrono cappuccini vegani realizzati con latte vegetale.

Per converso, ci sono anche sostenitori del cappuccino tradizionale, che può avere effetti benefici sulla salute grazie alla combinazione di caffè e latte.

Uno studio recente pubblicato sulla rivista “Nutrients” sostiene che il regolare consumo di cappuccino può avere effetti positivi sulla salute mentale e sul benessere. Lo studio ha rilevato che i partecipanti che bevevano un cappuccino ogni giorno avevano maggiori probabilità di sentirsi felici e soddisfatti e avevano anche livelli più bassi di stress e ansia.

Laura, i nostri cappuccini si stanno raffreddando. Mentre cominci a sorseggiare il tuo, potresti dirmi quando si celebra la Giornata Internazionale del Cappuccino?

L’8 novembre. È un’occasione per apprezzare questa amata bevanda. Nespresso ha recentemente lanciato un kit, che consente agli amanti del caffè di preparare cappuccini a regola d’arte a casa. E sempre per casa, le aziende del setttore hanno preso a proporre “cappuccinatori” in grado di montare il latte come una schiuma gustosa e cremosa. Come vedi intorno al cappuccino si muove il mondo.


Ma come si faceva a scrivere senza la biro?

Oggi scrivere con una penna a sfera è abitudine comune, ma agli inizi del secolo scorso non lo era affatto. Almeno finché László József Bíró, inventore ungherese, non elaborò la sua idea rivoluzionaria che soppiantò quasi del tutto le penne stilografiche. Fu, infatti, il primo a brevettare il suo nuovo tipo di penna, che cambiò le abitudini di scrittura, conseguendo un meritato successo commerciale.

Come spesso accade, inizialmente Bíró ebbe una carriera molto variegata. Studiò medicina, ma abbandonò presto gli studi per dedicarsi a diverse attività. Fu pilota di automobili, doganiere, agente di borsa, pittore surrealista e scultore. Inoltre, lavorò come giornalista, collaborando con varie testate, e questo suo lavoro fu indirettamente all’origine del successo.

Come s’è detto, nel tempo libero Bíró si dilettava a progettare e creare congegni insieme al fratello György, un chimico. Di comune accordo svilupparono diverse invenzioni, tra cui un vetro resistente ad alte temperature, un prototipo di lavatrice, una serratura anti-scassinamento e un cambio meccanico automatico per auto. La General Motors acquisì il brevetto, ma solo affinché nessun altro produttore potesse sfruttarlo. Era il 1932.

In quello stesso 1932 Bíró fu incaricato, come redattore capo della rivista “Hongrie-Magyarország-Hungary”, di divulgare l’arte ungherese all’estero. Successivamente entrò a far parte del settimanale “Előre”. Guardando i rulli da stampa rotanti nella tipografie dei giornali, gli venne l’idea di realizzare una penna che scrive con l’inchiostro, ma senza sbavare come accadeva alle stilografiche.

È qui, dunque, che nacque l’idea che lo indirizzò alla sua invenzione, osservando l’inchiostro tipografico, che si asciugava rapidamente senza macchiare. Tuttavia, l’inchiostro tipografico era troppo denso per essere utilizzato col pennino tradizionale di una stilografica. Occorreva, quindi, uno strumento di scrittura diverso.

Nel 1938, Bíró, insieme a suo fratello György, sviluppò un nuovo tipo di penna che utilizzava una piccola sfera rotante per distribuire l’inchiostro in modo uniforme sulla carta. Nelle diverse interviste rilasciate nel corso degli anni racconta che l’idea gli venne data da alcuni bambini che giocavano con delle biglie. Bíró si accorse che se una biglia rotola oltrepassando una pozzanghera, lascia sempre dietro di sé una traccia bagnata sull’asfalto. L’idea era scaturita dalla sua mente.

Tutto ciò che serviva era una pallina rotante all’estremità di un tubicino e un tipo di inchiostro che non si seccasse all’interno di quel tubicino, ma si asciugasse istantaneamente sulla carta. Bíró credeva che con un inchiostro composto da componenti solidi e liquidi, le parti liquide sarebbero state assorbite dalla carta, mentre le parti solide sarebbero rimaste sulla sua superficie. Con l’aiuto del fratello György, dell’inventore Andor Goy e dei fratelli Kovalszky, riuscì a mettere in atto la sua idea.

Bíró brevettò l’invenzione a Parigi nel 1938, per l’esattezza il 25 aprile. In dettaglio spiegò nel brevetto industriale di avere creato una penna a sfera, inserendo all’estremità di una cartuccia d’inchiostro una piccola pallina metallica libera di ruotare. La rotazione permetteva di prelevare l’inchiostro dalla cartuccia, depositandolo sulla carta. Le prime penne, ancora da perfezionare, arrivarono sul mercato con il nome Go-Pen.

La penna a sfera di Bíró risolse molti dei problemi delle penne stilografiche del tempo, come le fuoriuscite di inchiostro e le ostruzioni. L’ invenzione divenne rapidamente popolare, ma non fu accettata immediatamente e incontrò diverse difficoltà iniziali. Quando Bíró brevettò la sua invenzione nel 1938, il costo di produzione era elevato, rendendo di conseguenza il prezzo di vendita della penna piuttosto alto. Questo la rese inizialmente un prodotto di nicchia e non accessibile a tutti. Inoltre, la Seconda Guerra Mondiale interruppe le sperimentazioni e costrinse Bíró a trasferirsi prima a Parigi e poi in Argentina.

Fu solo dopo la guerra che la penna a sfera iniziò a guadagnare popolarità, soprattutto grazie all’interesse dell’aviazione britannica, che la trovò utile per scrivere ad alta quota, dove le penne stilografiche tradizionali non funzionavano bene.

La svolta commerciale arrivò quando i fratelli Bíró vendettero i diritti della loro invenzione a un imprenditore francese, il barone Marcel Bich, che riuscì a ridurre significativamente i costi di produzione e a rendere la penna a sfera accessibile a un pubblico più ampio. Questo portò alla nascita del marchio Bic, che divenne sinonimo di penna a sfera in tutto il mondo. Quindi il marchio Bic è nato dopo l’invenzione della penna a sfera di László Bíró.

Marcel Bich, acquistò infatti i diritti della penna a sfera dai fratelli Bíró nel 1945 ma dovette prima perfezionare il processo di produzione, rendendo il prodotto finale molto più economico. Apportò anche alcune modifiche all’oggetto stesso, attraverso un vero e proprio progetto di design. Realizzò un cannello trasparente per poter vedere il livello dell’inchiostro contenuto nel serbatoio.

Diede alla penna una forma esagonale e non cilindrica, rispettando esteticamente il gusto Art Déco, ma anche per rendere la penna funzionale ed evitare che rotolasse in terra dai banchi degli studenti che in quel tempo erano inclinati.

In definitiva, dotò la penna di una linea essenziale ed economica senza tanti fronzoli. Da allora il design non è mai mutato, se non nel cappuccio, tagliato in cima per fare un foro ed evitare il soffocamento qualora un bambino lo ingoiasse.

Finalmente, nel 1950, Marcel Bich lanciò la sua versione della penna a sfera sotto il marchio “Bic”, (Bic senza la acca del suo cognome). Una penna che divenne rapidamente popolare grazie alla sua convenienza e affidabilità. Oggi, Bic è uno dei marchi più riconosciuti al mondo per le penne a sfera.

László József Bíró e Marcel Bich incontrarono diversi concorrenti nel corso dello sviluppo e della commercializzazione della penna a sfera. Uno dei principali concorrenti fu l’azienda Eversharp, che collaborò con l’inventore americano Milton Reynolds per produrre una penna a sfera simile. Reynolds riuscì a lanciare la sua versione della penna a sfera negli Stati Uniti nel 1945, poco dopo che Bíró aveva brevettato la sua invenzione.

Inoltre, la Waterman Pen Company, un’azienda già affermata nel settore delle penne stilografiche, cercò di competere con la penna a sfera di Bíró migliorando i propri prodotti.

Tuttavia, fu Marcel Bich a ottenere il maggior successo commerciale, lanciando il marchio Bic, che divenne sinonimo di penna a sfera in tutto il mondo.


A Messina, in riva allo Stretto, “Mezza con panna”

Messina - mezza con panna e brioches
La classica granita messinese al caffè con panna e l’immancabile brioche col “tuppo”

“Mezza con panna”, con questa espressione a Messina ci si riferisce a una freschissima granita, per metà al gusto preferito accompagnato, per l’altra metà, da soffice panna montata. Tuttavia, la “mezza con panna” non è semplicemente un modo per ordinare una colazione alternativa al diffusissimo cappuccino, ma rappresenta una vera e propria istituzione della pasticceria locale. Gustare una granita al caffè con panna montata, è a tutti gli effetti un rituale che si ripete ogni giorno nei locali della città.

Occorre subito fare attenzione a un particolare: il cappuccino e la “mezza con panna” più diffusa, quella cioè al gusto di caffè, hanno gli stessi componenti di base: per l’appunto il caffè nero e il latte. Modalità di preparazione differenti, che si rintracciano nella storia e nella tradizione, hanno dato origine a due prodotti gustosi per consumare in modo differente una prima colazione.

Sul cappuccino potete leggere in altre pagine di Entasis, ora soffermiamoci sulle diverse ragioni che concorrono a conferire alla “mezza con panna” un significato molto profondo. Questa specialità tipicamente messinese trova, infatti, le sue radici nella storia della città, dove già nel XVI secolo si diffuse la granita. Nel corso del tempo, la ricetta si è evoluta e perfezionata, diventando un elemento distintivo dalle caratteristiche uniche.

La granita con panna rappresenta, perciò, un elemento identitario per i messinesi, che ne vanno fieri e la considerano meritatamente un’eccellenza da condividere con i visitatori. Gustarla in un bar storico, accompagnata da una brioche col tuppo (la pallina che la guarnisce), è un modo autentico per immergersi nella cultura e nelle tradizioni. È un pezzo di storia racchiuso in un connubio originale e inimitabile di sapori.

L’importanza della “mezza con panna” per Messina è stata ufficialmente riconosciuta con il conferimento della DE.CO (Denominazione Comunale), che ne tutela la ricetta originale e ne promuove la valorizzazione.

Stiamo parlando, quindi, di una granita speciale, perché speciali (anche rispetto ad altre granite siciliane) sono le sue caratteristiche.

Cremosità e consistenza: Come si è detto, questa granita messinese si distingue per la sua consistenza quasi vellutata al palato. Risultato è ottenuto grazie ad un processo di lavorazione artigianale basato sull’alta qualità degli ingredienti e su tecniche specifiche.

Ingredienti: La granita che si gusta in riva allo Stretto è preparata con prodotti semplici e genuini miscelati ad acqua e zucchero. Ad esempio, il caffè, tostato e macinato al momento, dona un aroma intenso e deciso, mentre il succo di limone, rigorosamente fresco e non trattato, conferisce alla granita un’acidità bilanciata e rinfrescante.

Temperatura: La granita messinese viene servita a una temperatura molto bassa, che ne esalta la freschezza. Questo permette inoltre di mantenerla stabile, evitando che si sciolga troppo rapidamente.

Abbinamento con la panna: Un elemento caratterizzante è l’abbinamento con la panna montata fresca. La panna, rigorosamente non zuccherata, contrasta piacevolmente l’amarezza del caffè o la dolcezza della frutta, creando un connubio di sapori armonioso e goloso.

La granita messinese vanta una lunga e ricca tradizione almeno a partire dal XVI secolo. Per la verità, i documenti sulle origini della granita siciliana in generale sono incerti: c’è chi la fa risalire agli arabi e prima ancora ai greci. Si pensa che la sua nascita sia avvenuta per caso, grazie all’utilizzo della neve portata a valle dalle colline più alte, o dall’Etna, per essere conservata in apposite “niviere”, fosse profonde scavate nella terra e ricoperte da frasche. Serviva per essere utilizzata (quando i frigoriferi erano di là da venire) nei momenti di necessità e consumata in qualsiasi stagione.

La neve delle neviere, compressa e trasformata in ghiaccio, era poi tagliata in blocchi. Veniva quindi grattugiata e mescolata con succhi di frutta o caffè, dando vita a dessert piacevoli e rinfrescanti. Quella descritta, però, è la granita che troviamo in molte parti della Sicilia e generalmente anche in Italia. A Roma non a caso la chiamano “grattachecca”, in quanto prodotta col ghiaccio tritato.

La città di Messina, a differenza di altre località, grazie alla sua posizione strategica all’imbocco dello Stretto, era un importante punto di snodo per i commerci e gli scambi culturali soprattutto con l’Oriente. Ciò ha favorito l’incontro con diverse culture e tradizioni gastronomiche, contribuendo all’evoluzione e al perfezionamento della stessa ricetta.

La miscela di ingredienti, ieri come oggi lavorata a lungo in apposite attrezzature, è mantenuta in costante movimento per impedirne la cristallizzazione, cioè la trasformazione in ghiaccio. Si ottiene così una granita liscia e senza grumi.

La gelatura è la lavorazione più delicata. Oggi si fa a macchina, ieri a mano, con il ghiaccio delle neviere portato a valle con grande attenzione. Anticamente (a partire cioè dal Cinquecento) acqua, zucchero, succhi tratti dalla frutta, erano filtrati e messi a gelare. Man mano che il liquido si solidificava sui bordi del contenitore di preparazione (pozzetto) andava scrostato evitando di “bruciare”, cioè di congelare repentinamente. Un errore del genere avrebbe fatto precipitare il composto sul fondo del recipiente, lasciando in superficie insipidi cristalli di ghiaccio. 

La cosa più stupefacente ha, tuttavia, un carattere sociale che coinvolge l’intera popolazione. Durante il Cinquecento, le colline messinesi si ricoprirono di gelseti che favorirono la ricchezza della città grazie alla produzione ed esportazione di seta grezza o lavorata. Dell’albero del gelso, i bachi da seta mangiavano le foglie, mentre gli uomini ne utilizzavano i frutti. Quando la meccanizzazione in altre parti di Europa nell’Ottocento fece crollare la produzione della seta messinese, le colline della città si ricoprirono di alberi di limone e iniziò un nuovo mercato di esportazione di essenze. Ecco perché la granita prima di gelso e poi di limone sono sempre state le classiche granite messinesi.

In ogni caso, nel corso del tempo, la granita, pur modificando gusto, è diventata sempre più popolare, conquistando il palato non solo dei residenti, ma anche dei visitatori provenienti da tutta la Sicilia e dall’Italia.

Quali sono, perciò, i gusti più richiesti nei numerosi bar storici dove è possibile assaporare un’autentica granita messinese, preparata secondo la ricetta tradizionale? Oltre ai classici al caffè o al limone, che sono i più richiesti nel corso della mattinata per fare colazione, una grande varietà di altri gusti tipici meritano di essere assaggiati:

Gelsi: Un gusto che, come ora sappiamo, richiama alla tradizione. Una granita dal colore viola intenso e dal sapore dolce e leggermente acidulo. La granita ai gelsi viene preparata con succo fresco di gelsi di Sicilia, un frutto tipico della stagione estiva.

Mandorla: Un gusto dal sapore intenso e aromatico, ottenuto da mandorle siciliane tostate e macinate. La granita alla mandorla è spesso servita con una spolverata di cannella o di cacao.

Pistacchio: Un gusto molto apprezzato, soprattutto dai golosi. La granita al pistacchio viene preparata con pistacchi di Bronte, rinomati per la loro qualità e il loro sapore unico.

Fragola: Un gusto fresco e rinfrescante, perfetto per le giornate calde. La granita alla fragola viene preparata con fragole fresche di stagione.

Cioccolato: Un gusto goloso e cremoso, che piace sia ai grandi che ai piccini. Per la granita al cioccolato è utilizzato cacao di alta qualità, amaro o al latte.

Oltre a questi gusti intramontabili, esistono anche numerose alternative altrettanto originali, come la granita al fico d’india, al verdello, alla pesca o all’albicocca, al gelsomino. La sperimentazione è continua e i maestri pasticceri messinesi inventano sempre nuove ricette per incuriosire e sorprendere i palati dei loro clienti.

Naturalmente, la scelta del gusto di una buona granita varia in base alle predilezioni personali, al momento della giornata e al periodo dell’anno. In conclusione, che siate amanti dei sapori classici o che siate alla ricerca di nuove esperienze, la granita messinese ha sicuramente qualcosa da offrirvi.